GUTTER TWINS, Saturnalia (Sub Pop / Audioglobe, 2008)

Storicamente parlando, il rischio di creature a due teste come questa sta nella loro grancassa di risonanza, che unisce la fama e i pubblici di entrambi i dettanti spesso a discapito della sostanza: vero è che le volte in cui i sentieri dei due compari in questione si sono già incrociati non si contano più e che, fra duetti e collaborazioni più o meno accreditati, il clamore e l’attesa per un progetto a due si sono parecchio attenuati. Che il rendez vous, poi, avvenga in casa Sub pop – che fu ospizio dell’uno per tutta la saga Afghan Whigs e dell’altro nella prima ora degli Screaming Trees – dona alla faccenda un sapore di rimpatriata fra vecchi sodali, più che di “incontro fatale”. Aggiungete la caratura (non esattamente mondana) dei due personaggi e il fatto che la scelta per il battesimo collettivo sia ricaduta su un appellativo come “Gemelli di Fogna”… come non detto, effetto glamour annullato. Ci rimane un disco.

“Saturnalia” è un titolo che richiama sì feste pagane in tempi di gozzoviglie imperiali, ma anche uno stato d’animo particolare: dicesi “saturnino” o “di saturno” l’individuo di temperamento triste, che tende alla malinconia. E di malinconia, nel lavoro dei Gutter Twins ce n’è a sufficenza, senz’altro in quantità maggiore rispetto alla goliardia pagana cui si accennava poc’anzi. “Gotico” è l’aggettivo che loro stessi azzardano per definirsi e ci sono un organo a canne e la pompa magna di certi arrangiamenti (“Idle Hands”) pronti a dar loro ragione.
Gran parte dell’album è giocata sugli schemi consueti: le voci dei due si avvicendano come già sappiamo, lasciando preferibilmente l’apertura alla voce baritonale di Lanegan e facendo sì che Dulli lo raggiunga dopo i primi arpeggi per fargli da estroso contraltare. C’è poco nulla di nuovo nella scrittura e negli umori dell’accoppiata, dal momento che l’uno non ne vuole sapere di risollevarsi dalle proprie tonalità di bordone e né l’altro intende in alcun modo abbandonare i panni del laido a tutti costi.
Permane insomma la passionaccia per il rock a tinte fosche che da sempre li unisce, mentre quasi scompaiono i riferimenti al canto soul che connotavano i rispettivi percorsi solisti, con l’unica eccezione stoneagiana di “Seven Stories Underground”: in tanta omogeneità che rasenta il monocorde, l’acustica di Jeff Klein che blueseggia in “Who will lead Us” è una delle poche note di diversità. Anche la base campionata in “Each to Each” è un’ interessante deviazione, figlia dell’amore che i Gemelli hanno più volte dichiarato per il mondo del trip hop e della musica electro, o magari frutto diretto dal tempo che Lanegan ha speso al fianco dei Soulsavers, apprendendo il duro mestiere dell’elettronico.

Ascoltatelo in una stanza buia, “Saturnalia”, con la benda sugli occhi, chini sulle ginocchia e penitenti come il vate D’Annunzio dei Notturni, pronti al vostro De Prufundiis: altrimenti, meglio non farne nulla.

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