Bonnie Prince Billy + Deerhoof, Circolo degli artisti (Roma) (25 aprile 2007)

di Daria Pomponio

Eclettica e sorprendente serata, quella proposta dal Circolo degli Artisti il 25 Aprile scorso, a base di un ardito connubio tra il punk-noise dei Deerhoof e il rock-folk di Bonnie “Prince” Billy, per l’occasione in versione cupa e minimale.

Il trio di San Francisco apre la serata con le sue sonorità esuberanti, la voce stridula della frontgirl e bassista Satomi Matsuzaki stordisce e incanta, ma è soprattutto il vulcanico batterista Greg Saunier a convogliare l’attenzione, con una performance fisica (e musicale, è chiaro) a dir poco strabiliante: animato da un vortice centrifugo, Saunier sposta continuamente il suo “mobilio” di percussioni, per poi riallestirlo, con calma, alla fine di ogni pezzo. Durante l’esibizione dei Deerhoolf, Bonnie “Prince” fa capolino da dietro le quinte, sorpreso, incuriosito e adorno di un copricapo marinaresco.

Poi viene il suo momento: eccolo salire sul palco, ieratico e nerovestito, accompagnato soltanto dal giovane batterista Alex Neilson. Apre la sua esibizione con “I See a Darkness”, quasi volesse togliersi il pensiero, perché si sa che è uno dei brani più amati dal pubblico e dunque non può mancare; solo che questa versione è davvero difficile da riconoscere anche per chi ne saprebbe riportare a memoria ogni singola parola. Insomma fin dall’incipit Bonnie mette le cose in chiaro: è lui a tenere le redini dello spettacolo e, con buona pace di chi spera di unirsi “in coro”, sua è la voce che riempe lo spazio, a tal punto che, in questa occasione, quasi non si percepiva l’usuale chiacchericcio di sottofondo del pubblico.

Il “principe”, degno erede della migliore tradizione orale americana, è venuto soprattutto a raccontarci delle storie, come quella avventurosa e grottesca di John the Baptist, o la vicenda tragica degli amanti separati dalla morte che si scambiano un ultimo bacio, livido e letale. Oppure le traversie di Molly, uccisa dallo zio, e la bizzarra sussistenza di “strane forme di vita”, nate senza braccia, orecchie, piedi, senza nulla. E in fondo è anche questo il tema di una serata in cui Bonnie “Prince” e la sua musica approdano ad un rigore quasi ascetico: soltanto sottraendo si raggiunge una essenzialità pura ed efficace. Ma, dopotutto, se abbiamo la voce e le storie, abbiamo tutto, e non ci mancherà la chitarra di Matt Sweeney con i suoi guizzi elettrici, né il resto del parco strumenti, l’udito è sazio, riempito da una voce incorrotta, che riporta con un lirismo docile e rassegnato storie gotiche e strazianti.

Molti i brani dall’album “I See a Darkness”, di cui in fondo, ci pare di intendere, “The Letting Go” è il seguito ideale e oltretutto, dal momento che in questa esibizione manca la voce di Dawn McCarthy, caratteristica fondamentale dell’ultimo disco, ci possiamo meglio rendere conto di quanto i due dischi si somiglino, almeno nelle atmosfere. “Black”, brano acustico pressoché perfetto, è ora spezzato da una chitarra debolmente gracchiante, “Another Day Full of Dread” è lentissima e vibrante. Pensieri oscuri sull’amicizia, il tradimento, la nascita e la morte si mescolano senza cesure con le leggende di fantasmi e malefici; persino “My Home is the Sea” ha perso il suo tono vitale e scanzonato. Data questa tendenza a trattare le proprie stesse canzoni come delle cover da riplasmare continuamente sulla propria, metamorfica, immagine, non ci sorprendiamo più di tanto quando il nostro inizia a gorgheggiare la hit di Whitney Houston “I Will Always Love You”, tema portante di uno dei cine-polpettoni più improbabili degli anni 90 (il temibile “La guardia del corpo”), tuttavia impeccabile e perfetta in versione folk.

Bonnie “Prince” Billy ha inscenato una sorta di “concept concert”, che segue un filo conduttore il cui disegno complessivo è chiaro soltanto alla fine, quando lo spettatore, decisamente spaesato, rimette insieme quanto ascoltato in un rapido rewind e comprende che ogni singolo brano è parte di una antologia di racconti sulla sofferenza, sul rimpianto, sulla melliflua malinconia e sull’oscurità, inseparabile compagna di una delle voci più strazianti del panorama musicale contemporaneo.