ELEVENTH DREAM DAY, Zeroes And Ones (Thrill Jokey, 2006)

Con una carriera così, gli Eleventh Dream Day possono tranquillamente aspirare alla nomination per l’Oscar come “Miglior band meglio nascosta di sempre”. Ci hanno anche provato, a raggiungere il successo: tre tentativi con la Atlantic tra fine ’80 e inizio ’90, ma non sono bastati. Come sempre in questi casi, mentre la critica tesseva le loro lodi, il pubblico li snobbava. Loro, incuranti, sfornavano capolavori senza sosta, macinavano chilometri e facevano sobbalzare palchi. L’aver soltanto sfiorato il successo, però, li induce a perdere fiducia nel progetto e a cercare altre vie: la batterista Bean con i Freakwater, il bassista McCombs nientemeno che con i Tortoise, mentre il fondatore Rizzo decide addirittura di tornare al college. Gli Eleventh Dream Day diventano un impiego part-time, un ritrovo saltuario e occasionale. Ci si aspetterebbe che la produzione discografica ne risenta in negativo. Macchè. I tempi tra un album e l’altro si allungano sì, ma il peso specifico degli stessi non accenna a scemare, anzi: “Eigth” (1997) e “Stalled parade” (2000) rappresentano due ulteriori tappe verso il raggiungimento della piena realizzazione artistica.

Fino ad arrivare, sei anni dopo, a “Zeroes and ones”. Sarà la calma con cui è stato scritto e inciso, sarà una sorta di allegro disimpegno che sembra trasparire da queste 12 tracce, ma nulla in “Zeroes and ones” risulta eccessivo o sprovvisto di freschezza. Dai pezzi più diretti e sferraglianti, che odorano di Dream Syndicate, come “Lately I’ve been thinking” e “Lost in the city”, a quelli più rilassati e scherzosi, come “The lure” e “From k to z”, dalla magnifica apertura di “Dissolution”, con un McCombs straordinario, al dittico conclusivo formato da una “Pinwheels” luccicante e una “Journey with no maps” che dimostra una consapevolezza di scrittura veramente notevole, nulla è fuori luogo, la band suona veramente “loud” e le tastiere adempiono perfettamente al proprio compito di sorreggere la struttura. Un capitolo a parte meritano i due pezzi in cui la chitarra di Rizzo si erge a protagonista assoluta: “For Martha” è una declinazione del verbo dei Jesus and Mary Chain con in più un finale deflagrante e saturo; “New rules” parte corale e armonica, poi si spezza e si blocca su un giro di accordi che speri non abbia mai fine, fino a quando inizia l’assolo, una delizia infinita che sta tra Ira Kaplan e Neil Young, e che renderà questa canzone una necessità, un bisogno fisico.

“Zeroes and ones” è l’album perfetto per iniziare ad amare gli Eleventh Dream Day, e si tratta, almeno per il sottoscritto, di una vera e propria folgorazione. La loro fetta di storia è piuttosto piccola e, soprattutto, ben nascosta; è uno scatolone buttato in un angolo fra gli scaffali ricolmi nel magazzino della storia della musica rock: ma vi verrà voglia di appropriarvene, svuotarlo completamente e godere del contenuto fino in fondo. “And the Oscar goes to…”

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