RADAR BROS, The Fallen Leaf Pages (Chemikal Underground / Audioglobe, 2006)

Niente di nuovo sotto il sole, però è una bella giornata. Potrebbe essere riassunto così il nuovo, quarto album dei Fratelli Radar. Niente di nuovo perché i Radar Bros. più che fratelli fra di loro sembrano fratelli dei Pink Floyd, e se i Pink Floyd fossero già morti ne sarebbero la reincarnazione. Per cui: che senso ha un album che esce nel marzo 2006 e che suona esattamente come “Meddle” del 1971? Probabilmente poco.

Ascoltando bene “The Fallen Leaf Pages” però non si può dire che non è un discreto album. Anzi. E’ un disco seducente, come lo è la miglior canzone “Dark Road Window”, padrona di un arpeggio avvolgente e un riff vocale che ti si stampa in testa e che da lì non se ne va più. Semplicemente le soluzioni sonore utilizzate, al di là di un approccio analitico che smaschera comunque il marchio Pink Floyd (doppie voci, batteria sul ride, andamento polleggiato), sono floydiane nell’anima più profonda. Con qualche tocco alla Grandaddy, a voler essere precisi (“Like An Ant Floating In Milk”).

Perché dunque non si riesce a sbolognare via questo cd dal lettore? Forse perché i Radar Bros. sono così smaccatamente derivativi che non ne hanno vergogna e sanno di non giocare sul campo della sorpresa, per cui riescono ad essere plausibili non in sé ma nella categoria “seguaci dei Pink Floyd”. Come degli adepti di una religione che cercano di tramandarne i fondamenti. Adepti per certi versi necessari, altrimenti forse un verbo potrebbe un po’ oscurarsi. A dire il vero ci ha pensato Gilmour a tornare con un nuovo album proprio adesso, quindi non ce ne sarebbe stato neanche bisogno… quindi? Neanche la storia della religione sta in piedi.

Insomma, forse che una bella canzone possa anche non essere originale? Ecco, forse. Sinceramente a noi “The Fish”, “Faces Of The Damned”, “Government Land” piacciono proprio, per non parlare della già citata “Dark Road Window”. Ascoltato tutto d’un fiato “The Fallen Leaf Pages” crea un po’ troppo l’effetto del già sentito, certo, ma ascoltato così, senza troppe pretese, offre delle buone pagine di rock psichedelico. E poi, se si sentirà nostalgia dei maestri, nulla vieta che si ritiri fuori “Meddle”.

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