AFX, Chosen Lords (Rephlex / Goodfellas, 2006)

Piaccia o no, il signor Richard D. James è un’icona della cultura pop: l’icona più ostile, nascosta, scontrosa e inavvicinabile che potesse esserci, ma pur sempre un’icona. Non potremmo chiamare in altro modo chi ha reso l’elettronica d’avanguardia un genere avvicinabile alla massa, con genialità sonore e visuali come “Windowlicker” e “Come to daddy”.

Il problema, semmai, è che il pubblico è rimasto lì, ad aspettarsi altre perle del genere; e invece Richard è fuggito via, lasciando tutti in attesa di un nuovo album a nome Aphex Twin. Probabile, anzi, che quella sigla sia quasi del tutto morta, mentre ora, a nome AFX, esce questa “Chosen lords” che raccoglie dieci dei quaratuno pezzi usciti sugli undici EP della serie “Analord”. Materiale non totalmente inedito, dunque, e non solo perché già pubblicato: forse per la prima volta, il genietto della Cornovaglia non riesce a stupirci. Ci incanta, certo, ma non ci sorprende più: forse anche lui è rimasto bloccato alla metà degli anni ’90 come il suo pubblico, quando per certe sterzate acide in base house la gente impazziva. Ora, un suono del genere è ancora straordinario, ma non è più nuovo.

Gli ingredienti restano i soliti: le mille rifrazioni digitali squarciate da un organo e da cori angelici (“Fenix funk 5”), il bombardamento costante di impulsi sensoriali (“Reunion 2”), le divagazioni ambient (“Klopjob”, perfino la vicinanza con la musica classica aggiornata al futuro.
Come sempre, le definizioni restano completamente inutili: la ritmica che accompagna il finale di “Pitcard” avvicina il drum ‘n’ bass ma, non appena crede di essersi fatta ingabbiare, svicola come un furetto in mille direzioni diverse. Solo i geni riescono a fare dischi del genere, questo è vero. Ma qui ci stiamo avvicinando alla maniera e, genialità o meno, non è mai un buon segno.

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