THE LEGENDARY SHACK SHAKER, Pandelirium (Yep Roc, 2006)

Non passa inosservato questo cd fin dalla copertina: un’immagine quasi ripugnante di un maiale con la testa di bimbo (indiano?) e un cappello orientale, sopra un’immensità di rose. Per non parlare di quella tromba che emerge da un certo posto… insomma, una cosina morigerata.

Copertina adattissima: il gruppo non poteva rappresentare meglio l’irriverenza e il miscuglio meticcio molto rockabilly-punk-folk che esce da questo “Pandelirium”. Delirio, è la parola giusta: un’assoluta mancanza di schemi quasi come i Mr. Bungle, una voce cavernosa che inghiotte tutto e tutti come un Tom Waits incazzoso, richiami agli Stray Cats ma anche ai più contemporanei Gogol Bordello, il gruppo americano capitanato dall’istrionico JD Wilkes si diverte a sorprendere l’ascoltatore con armoniche lancinanti, tromboni scoppiettanti, benjo saltellanti, e l’immancabile contrabbasso che riporta tutte quelle inesplicabili influenze sotto l’egida del rock più classico di quando sulle chiome dei cantanti la gelatina la faceva da padrone.

Stai sempre in guardia, ascoltatore assorto in altro, che se anche le canzoni iniziano in un modo – per così dire – tranquillizzante, come nel caso del country-blues di “Jipsy Valentine”, con i Legendary Shack Shakers non bisogna mai abbassare la guardia o pensare di potersi stravaccare sul divano a goderseli: ecco che partono con una batteria degna della musica balcanica più movimentata e il divano potrebbe iniziare a pogarti addosso.

Ne sa qualcosa il loro amico Jello Biafra, che anche i più rimandati nella materia Hardcore-Punk ricordano come il primo cantante dei Dead Kennedys, qui ospite evidentemente divertito in un paio di pezzi (“Ichabod!” e “No Such Thing”). Un allegro baraccone, un circo itinerante con le chitarre al posto dei mangiafuoco, una banda di masnadieri della ballotta. Nella fattoria dei Legendary Shack Shakers è tutto uno starnazzare di anatre rock, un ininterrotto rodeo del West modellato su pezzi come “The Ballad Of Speedy Atkins” che potrebbero essere scritti da un cow-boy vomitante whisky.

Un disco fuori come un venerdì sera dopo un mese di astinenza dall’alcool. Tutta salute, o quasi.

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