Intervista agli One Dimensional Man

Di un album, “Take Me Away”, in cui il suono si è fatto più vario e meno spigoloso e dove è inclusa anche una canzone d’amore, non potevamo non chiedere conto a Pierpaolo Capovilla, voce e basso di One Dimensional Man, che racconta anche dell’arrivo del nuovo chitarrista Carlo Veneziano, della ricerca (vana) di una major lungimirante, dell’importanza dei testi nei pezzi di ODM, per finire sul problema dell’informazione in Italia nell’epoca del “peggior governo della storia repubblicana”.


E’ passato qualche mese dall’uscita di “Take Me Away”. A mente fredda, siete ancora soddisfatti del risultato? Durante la vostra estate di concerti, le canzoni si sono modificate in qualche modo?

PPaolo: Credo che “Take Me Away” sia il nostro miglior lavoro fino a questo momento. Ne siamo soddisfatti e siamo felici per come le cose stanno andando. L’esecuzione dal vivo è quasi sempre un po’ diversa dal lavoro fatto in studio, e certo le canzoni a volte mutano leggermente forma con il passar del tempo. L’esempio più eclatante è però “Just Boy”: è una canzone che abbiamo fin dall’inizio inteso come dedicata alla memoria di quel povero ragazzo di nome Carlo Giuliani, assassinato a Genova in quei giorni terribili: ora questa canzone la performiamo in modo completamente diverso; le abbiamo dato un andamento funebre, lentissimo, sofferente.

Avete cambiato per l’ennesima volta etichetta. Per il tipo di suono che avete, siete quasi delle mosche bianche all’interno della Ghost. Come siete arrivati a loro?
PPaolo: Ma sono loro che sono arrivati a noi. Avremmo preferito, e lo dico senza vergogna, un contratto major. Lo abbiamo cercato, abbiamo contrattato, ma alla fine abbiamo solo perso tempo. In Italia mancano, nel settore major, degli interlocutori veri. Ghost ci ha fatto una proposta soddisfacente, e noi l’abbiamo presa al volo. Va benissimo così!

Il vostro suono si è fatto molto meno spigoloso che in passato. Immagino che sia in gran parte dovuto al nuovo chitarrista, Carlo Veneziano. Come l’avete conosciuto, e come si è trovato lui a lavorare con voi, che spazio ha avuto nella composizione dei pezzi? E come è cambiato il vostro modo di stare sul palco (ammesso che sia cambiato) dopo il suo ingresso?
PPaolo: Devo contraddirti subito. Non credo che la minor spigolosità di “Take Me Away” sia dovuta all’entrata di Carlo. E’ una cosa che io e Dario cercavamo da tempo. Carlo ne è rimasto persino un po’ sorpreso! Certamente, in un trio come è il nostro, il cambio di chitarrista è un vero terremoto. Casca giù tutto, bisogna ricostruire. Ma nulla sarà mai esattamente come prima… Per ciò che riguarda la nostra attitudine live, credo sia cambiato poco o niente!

Molti sono rimasti spiazzati da “Mad At Me”, che è l’episodio più atipico della vostra discografia. Ho letto da qualche parte che resterà però un episodio isolato: come mai?
PPaolo: Guarda, “Mad At Me” è una lettera d’amore in forma di canzone. E’ una cosa molto personale e dunque sicuramente autobiografica. E’ dedicata alla mia ex, a cui voglio ancora bene. Se avremo ancora voglia di scrivere canzoni come questa in futuro? Non saprei…

Parlando dei testi, spesso sono l’ultima cosa che si nota nelle vostre canzoni, ma io li trovo sempre più belli. Come nascono? Scrivi solo con una musica in testa? Hai bisogno di avere tranquillità intorno o riesci a scrivere ovunque? C’è qualche scrittore che influenza il tuo modo di scrivere, o al quale vorresti assomigliare?
PPaolo: Grazie per l’apprezzamento, ma davvero spero non siano l’ultima cosa che si nota nel nostro lavoro. Io credo che la “poetica” di un gruppo sia esattamente ciò che distingue un buon gruppo da un gruppo di merda. Se non hai niente da dire, allora perché diavolo parli. Meglio il silenzio che le stupidaggini! Detto ciò, veniamo a noi: si, scrivo sempre con la musica già in testa, il più chiara possibile. Lavoro sulla metrica in modo minuzioso. La tranquillità devo averla dentro, e non importa il luogo. Scrivo anche in albergo, dopo gli spettacoli. I miei scrittori preferiti sono i classici come Shakespeare, Dostoyevsky, ma adoro Celine, Pasolini, e anche Carmelo Bene.

Una domanda che esula dalla musica: in “5 Square Yards” il ritratto della donna assassina mi ha fatto venire in mente, non uccidetemi, l’ossessione televisiva per la cronaca nera e le stragi di famiglia. Se doveste giudicare lo stato dell’informazione televisiva, cosa direste?
PPaolo: “5 Square Yards” è però una storia molto comune… Quanti sono i mariti violenti, che non rispettano la propria compagna? Quante volte, dietro a fatti di cronaca nera del genere si nasconde la violenza domestica? Ecco, la canzone di questo parla, non di Cogne o schifezze simili.
Lo stato dell’informazione televisiva in Italia? E’ la peggiore d’Europa, e ci porta dritti al problema, cruciale, della democrazia nel nostro paese. L’informazione in Italia, a parte alcune significative e lodevoli eccezioni, rispecchia la cultura della classe politica al governo: la peggior classe politica ed il peggior governo nella storia dell’Italia repubblicana.

Ricordo di aver visto un vostro concerto un anno fa a Correggio, e tra una canzone e l’altra c’erano costanti riferimenti politici piuttosto sarcastici. Avete mai avuto problemi per i discorsi politici che fate dal palco?
PPaolo: Solo una volta, …un concerto nel padovano, non ricordo bene dove. C’erano un paio di fascisti nell’organizzazione. Siamo quasi arrivati alle mani. Per la precisione, mi fu fatto osservare che stava scritto nella Costituzione che non era lecito parlare di politica durante il concerto! Forse quei due personaggi non avevano un’idea molto chiara di cosa è scritto nella nostra Costituzione. Forse non l’avevano neanche mai letta. Mi chiedo, quanti sono i giovani in Italia che hanno letto, magari anche una sola volta e giusto per curiosità, la Costituzione della Repubblica?