PAVEMENT, Terror Twilight (Matador, 1999)

“Terror Twilight”, il quinto e ultimo capitolo della discografia dei Pavement, arriva giusto qualche mese prima della traumatica ed inaspettata rottura del gruppo. Nel momento in cui il disco esce lo scioglimento sembra la più remota delle ipotesi sul futuro della formazione di Stockton, un po’ perché il gruppo è diventato un punto fermo su cui contare per tutti gli appassionati di indie rock, un po’ perché “Terror Twilight” è tutt’altro che un album senza idee. Anzi, è il disco che ritorna a far brillare appieno il suono del gruppo, il loro disco più riuscito dai tempi di “Crooked Rain, Crooked Rain”.

I Pavement scrivono ormai canzoni dalla struttura più rifinita, quasi classica, un’evoluzione naturale che porta a compimento le intuizioni del precedente “Brighten the Corners”. Parte del merito va attribuito a Nigel Godrich, già al lavoro con i Radiohead di “OK Computer” e Beck tra gli altri, capace di lucidare il suono dei Pavement come mai era successo prima. Il risultato non fa altro che mettere in risalto le canzoni, che mostrano un’ispirazione lucida e sempre vitale.

E’ il punto di arrivo per la scrittura dei Malkmus e soci, le composizioni sono delizie dal gusto lieve, magie pop di tre minuti come “You Are a Light”, l’incantevole “Major Leagues” o “Ann Don’t Cry”, tutte prossime ai Velvet Underground più soffici. C’è poi l’incedere un po’ svogliato eppure irresistibile di “Spit On a Stranger”, che ricorda la flemma del Lou Reed di “Coney Island Baby”, ma arrivano anche momenti più ruvidi ed energici come “Cream of Gold” e “Billie”.

E poi compaiono anche curiose escursioni in territori tra folk e blues, “Folk Jam”, “Speak, See, Remember” e “Paltform Blues”, episodi suonati dal solito punto di vista sghembo e ironico. Perché anche tra queste tracce appare il piglio scherzoso e irriverente dei Pavement, tra voci che fanno capolino, canzoni che sembrano perdere la strada e quant’altro. C’è solo più attenzione ai brani e un pizzico di follia in meno.

Così ecco che si cimentano in un brano lungo e ricco di fascino come “The Hexx”, in cui giocano ad intrecciare tra loro trame di chitarra.
Ma per non smentire lo spirito che li ha sempre animati in chiusura piazzano il dinoccolato incedere di quello scherzo in musica intitolato “Carrot Rope”.

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