Intervista a Steve Wynn

Sono venuto a vedere il tuo concerto a Mantova, e penso che sia stata davvero una serata speciale: c’era un’atmosfera particolare nell’aria, tu e la band avete avuto la stessa sensazione? Quali sono le tue impressioni su quel concerto?

Beh, è una sensazione bellissima quando entri in una venue per il soundcheck e vedi qualcosa come quello che abbiamo visto a Mantova (il teatro Bibiena, NdI). Non esattamente il tipico rock club, giusto? Così ti senti di suonare musica che renda onore ad un posto bellissimo e a quelli che vi hanno suonato prima di noi (Mozart!). Anche il suono era grandioso, e così c’erano tutti gli elementi per un’esibizione speciale.

Come mai avete deciso di suonare alcuni concerti acustici durante il tour?

La nostra batterista, Linda Pitmon, ha contratto un’infezione al pollice due giorni prima del nostro tour italiano, e ha dovuto rimanere in Germania per l’operazione e la convalescenza. É stato un serio colpo per il tour, dato che lei è davvero una parte importante della nostra musica, ma non volevamo cancellare nessuna data, e così abbiamo trovato un modo di mantenere l’intensità e l’eccitazione della nostra musica, ma senza la batteria. Penso che abbia funzionato e, a dire la verità, era buono per uno spazio come quello in cui abbiamo suonato a Mantova. Linda ora sta meglio ed è di nuovo alla batteria per il resto del tour.


Per i testi e per la sua atmosfera, “Static transmission” sembra un album piuttosto “dark”: è un riflesso delle cose che sono successe negli ultimi due anni?

Forse. Penso che ci sia un po’ dello spavento e della confusione e delle contraddizioni e del bisogno di risposte e di comprensione che ho sentito a New York dopo l’11 Settembre. Ma questa è solo parte del disco: penso che sia un po’ dark, ma c’è anche una certa comprensione, una certa trascendenza, in alcune delle canzoni, e penso che questo sia piuttosto positivo. Ma di solito io sono il peggior interprete del significato delle mie liriche.


Sia “Here come the miracles” che “Static transmission” suonano piuttosto duri, grezzi: sei consapevole del fatto che questo è esattamente l’opposto di quello che la gente potrebbe aspettarsi da un artista che è in giro da più di vent’anni?

Steve Wynn (fonte: www.stevewynn.net © Larry Tucker)

Non capisco perché chiunque dovrebbe diventare “pacato” (sic) solo perché si invecchia. Io amo tuttora la musica dura, catartica e a tutto volume, e ho la stessa confusione di sempre, la stessa ansietà e lo stesso bisogno di comprendere le cose con la mia musica.
Sento che il mio prossimo disco potrebbe essere il mio album più duro e più rock di sempre, anche se mi riservo sempre il diritto di continuare a cambiare idea.


PJ Harvey disse, a proposito del suo ultimo album, di aver scritto canzoni che potevano essere considerate simili a piccoli film: pensi di poter dire lo stesso delle tue canzoni?

Penso di sì. “Amphetamine” certamente sembra un piccolo film, così come “Hollywood”. Spesso sono emozionato e influenzato dai film e provo spesso a trovare modi di ricreare le stesse sensazioni che provo guardando un bellissimo film nelle mie canzoni. Mi sono sempre chiesto come sarebbe avere un disco prodotto da qualcuno come Martin Scorsese o Francis Ford Coppola.


Nella tua carriera hai lavorato con alcuni dei nomi più importanti della scena indie USA, e tuttora collabori con alcuni di loro (Chris Cacavas, Howe Gelb…): com’è l’atmosfera quando lavorate insieme, nel Wavelab Recording Studio di Tucson?

Grandiosa. E veramente amichevole. Amici come Howe e John e Joey (dei Giant Sand) ci vengono a trovare spesso e c’è veramente un senso di comunità. Lo trovo sempre molto divertente quando la gente mi chiede “com’è lavorare con membri dei Calexico” perché penso a loro come amici che conosco da moltissimi anni. Abbiamo imparato tutti insieme qualcosa sulla musica e sulla vita e sull’andare in tour allo stesso momento.


Cosa ti spinge a scrivere canzoni, pubblicare dischi e andare in tour in tutto il mondo dopo tutti questi anni?

Mi diverto ancora moltissimo. È così semplice! C’è una sensazione che provi quando scrivi una canzone o registri qualcosa in studio o fai un concerto, e senti che sei andato da qualche parte dove non sei mai stato prima…è indescrivibile. È come una droga. E continua a farti andare avanti.