AFTERHOURS – Concerto al Fuori Orario (Taneto di Gattatico, RE) (5 ottobre 2002)

L’occasione di rivedere dal vivo gli autori di quello che, senza timore di smentita, si può definire il più bel disco italiano uscito finora in questo 2002 (“Quello che non c’è”), è di quelle da non perdere; esaurita anche per quest’anno l’esperienza del Tora! Tora! la band è pronta per imbarcarsi nella seconda parte del loro tour.

Aprono le danze Le Vibrazioni, che si fanno apprezzare per il loro rock cantato in italiano; sono prossimi a un’uscita discografica, e dimostrano buona maturità nel tenere il palco e nel catturare l’attenzione di un pubblico che non era lì per loro. Bravi!

Ancora pochi minuti di attesa, e gli Afterhours arrivano sul palco. La scaletta non è cambiata di una virgola rispetto alle esibizioni estive, e così Manuel e soci attaccano con un poker d’assi che farebbe invidia a gruppi ben più famosi di loro: la straziante bellezza di “Quello che non c’è”, il capolavoro “Bye bye Bombay”, una versione STUPENDA di “Bungee jumping” e la torbida psichedelia di “Varanasi baby”.

Nonostante l’oggettiva bellezza di questi pezzi, però, c’è qualcosa che non funziona a dovere: i frequenti gesti rabbiosi di Manuel verso il mixer fanno capire a molti che ci sono alcuni problemi con i suoni, che purtroppo rovinano un po’ la prima parte dell’esibizione. Il pubblico non sembra curarsene più di tanto, comunque: c’è nell’aria la solita adorazione incondizionata che i fan dimostrano verso gli Afterhours, e anche il più piccolo gesto del carismatico leader provoca urla e applausi. Ma non era stata proprio il vedersi trasformati loro malgrado da musicisti a idoli ad averli portati a un passo dalla fine?

Il live act della band è ormai una macchina ben rodata: quasi tutti i pezzi di “Quello che non c’è” vengono riproposti in una versione piuttosto fedele all’originale (mancano all’appello solo la dolcissima “Il mio ruolo” e, inspiegabilmente, il rabbioso disincanto di “Sulle labbra”), alternati a vecchi “classici” che mandano in visibilio il pubblico, soprattutto quelli ripescati dall’epocale “Hai paura del buio?” come la furiosa “Male di miele” e la ormai consueta nuova versione di “1.9.9.6.” accelerata e suonata con tre chitarre.

L’immancabile “Dentro Marylin” chiude la prima parte del concerto, e paradossalmente solo con i bis si arriva al livello che ci si aspetterebbe dagli Afterhours. “La gente sta male” e “Tutto fa un po’ male” sono pop allo stato puro: equilibrato, emozionante, perfetto; “Non si esce vivi dagli anni ’80” alza nuovamente muri di elettricità e di sarcasmo; “Ritorno a casa” è tesa e commovente, così come “Pelle”; “Televisione”, con il suo ritmo spezzato e l’alternarsi di quiete e rumore, è uno dei momenti migliori della serata.

La catarsi della meravigliosa “Voglio una pelle splendida” chiude un concerto sì bello, ma che non ha convinto del tutto: in certi momenti la sensazione che il mestiere prendesse il sopravvento sull’emozione è stata davvero difficile da cancellare.