THE BYRDS, Younger Than Yesterday (Columbia, 1967/1996)

In una discografia così livellata verso l’alto come quella del gruppo americano, è assai difficoltoso stilare classifiche di merito tra un album e l’altro. Senza dubbio, “Younger than yesterday” fotografa uno dei punti più alti della loro illustrissima carriera.

Pur avendo perso cammin facendo il carisma di Gene Clark ed attraversando un periodo di tremende lotte intestine che culmineranno nel divorzio con Crosby, i Byrds scoprono al loro interno il talento compositivo del bassista Chris Hillman, il quale porta subito un contributo decisivo con canzoni della portata di “Have you seen her face” (immediatamente edita anche come single), le country-western “Time between” e “The girl with no name” (anticipatrici di almeno due annetti del fenomeno country-rock del quale “Sweetheart of the rodeo” sarà un caposaldo storico), la splendida e romantica “Thoughts and words”.

In risposta a questo poker d’assi, le altre due menti del gruppo tirano fuori dal cilindro le loro meraviglie: McGuinn licenzia “So you want to be a rock’n’roll star” (i fiati poderosi di Hugh Masekela incontrano il suono cristallino delle Rickenbacker) ed un altro space-rock dei suoi (“C.T.A.-102”). David Crosby, a mio avviso il vero genio puro quanto scostante della band, regala le inarrivabili “Everybody’s been burned” e “Mind gardens”. La prima è una melodia dolcissima ed apparentemente fragile, quasi impalpabile; la seconda è un’allegoria atonale, anticipazione in piena regola della fantastica stagione psichedelica che nei gruppi della West Coast troverà terreno fertile.

“Younger than yesterday” è un vero classico, perfetto per capire dove si dirigerà la maggiorparte del rock americano a cavallo dei decenni Sessanta e Settanta e, comunque, uno straordinario e vitale affresco d’epoca che pare aumentare il suo valore ad ogni ascolto.

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