LED ZEPPELIN, Led Zeppelin II (Atlantic, 1969)

Che cos’è un riff? È quel piccolo oggetto fatto di musica, sempre in bilico tra l’insignificanza e la genialità. Il secondo disco dei Led Zeppelin apre con un riff, un semplicissimo riff composto da tre sole note, dietro le quali, però, si prepara una intera nuova generazione. La chitarra volgare, metallica, oppressiva di Jimmy Page canta il cinismo, la disillusione che ben poco hanno a che fare con la appena tramontata stagione di Woodstock. É un riff che parla d’amore, ma di un amore lontano anni luce da quello professato dagli hyppie; si tratta di un amore violento, irrispettoso, tirato per i capelli e spinto verso il bassoventre da un ritmo staccato e turgido di sangue pulsante. Tutto questo in un riff, in qualcosa che ben presto diventerà uno dei più preziosi tesori della storia del rock. Assieme ai riff di “Satisfaction”, “You Really Got Me”, “Smoke on the Water”, l’apertura di “Whole Lotta Love” è tutto ciò che di più viscerale, immediato, istintivo vi può essere nel rock. La voce e i testi sessualeggianti di Robert Plant, e la parte strumentale centrale, autentica cacofonia orgiastica, completano degnamente l’opera.

Per i Led Zeppelin, il 1969 è un anno particolarmente intenso. Il gruppo inizia un estenuante tournee che lo porterà anche a varcare l’oceano come spalla ai Vanilla Fudge. Ciononostante, gli Zeppelin trovano il tempo e la voglia di buttare giù durante il tour alcuni brani che ben presto entreranno nella storia del rock. E quel sapore così “on the road” è facilmente percepibile in “II”, secondo album della band inglese; la freschezza d’idee, le lunghe parti affidate all’improvvisazione rendono questo lavoro estremamente diretto ed immediato. Anche in questo disco, i brani sono una sapiente miscela di quello che può essere definito “hard blues”; alcune canzoni, infatti, sono ancora direttamente “saccheggiate” dal ricco repertorio dei padri del blues. La stessa “Whole Lotta Love” è una rielaborazione di “You Need Love” di Willie Dixon.

Anche il terzo brano del disco, “The Lemon Song”, è figlio diretto di “Killing Floor” di Howlin’ Wolf. Il risultato è ovviamente stravolgente. Più lenta e più pesante dell’originale, “The Lemon Song” è un autentico banco di improvvisazione su uno standard blues consolidato. Sopra una tessitura armonica di basso da alta scuola, Robert Plant non perde occasione di manifestare le proprie tendenze misogine con parole del tipo: “Strizza il mio limone / fino a quando non mi scende il succo lungo le gambe. / Se non strizzi il mio limone / ti caccerò a calci dal letto”.

Intendiamoci. “II” non è un disco di cover blues. È il primo vero banco di prova su cui si confrontano le diverse personalità presenti nel gruppo. Possono così trovare spazio risvolti “gentili” come Thank You, delicata canzone supportata dal morbido organo di John Paul Jones e dalla dodici corde di Page, su cui si posa lievemente il primo testo scritto da Plant, un omaggio alla moglie. Anche “Ramble On”, nonostante le sue impennate rock, è una canzone estremamente fine, in cui l’animo folk degli Zeppelin (che troverà pieno sfogo nel terzo album) si sposa perfettamente con il testo di sapore tolkieniano.
“II” è questo ma è anche e soprattutto altro. “II” è hard rock, probabilmente il primo disco hard rock della storia. “Heartbreaker”, il brano che apre il secondo lato del disco, rappresenta il breviario che ogni chitarrista rock dovrebbe portare con sé. Anche questa volta, la canzone è praticamente sostenuta da un riff, semplice, diretto, efficace. Ma ciò che più sorprende di questo pezzo è la parte centrale, in cui il gruppo ammutolisce per dare voce alla chitarra impazzita di Page. Si potrebbero scrivere manuali sullo stile di Page, sulla sua scarsa pulizia d’esecuzione, sul suo perenne arrancare sul tempo. Ciononostante, l’assolo di “Heartbreaker” è entrato nella storia, anche per il fatto di essere stato uno dei primi esempi di quella tecnica chitarristica denominata “tapping”, che successivamente farà la fortuna di musicisti come Van Halen o Steve Vai.

“II” è considerato quasi all’unanimità il miglior disco dei Led Zeppelin, e allo stesso tempo uno dei più grandi dischi della storia del rock. Tutti i brani di questo album entreranno nel repertorio dal vivo del gruppo, liberando così tutta l’energia in essi contenuta (anche un brano apparentemente poco significativo come “Moby Dick”, in cui si dà libero sfogo alla potenza belluina di Bonham, diventerà uno dei momenti clou delle performance degli Zeppelin). E proprio dal vivo gli Zeppelin riusciranno a dare il meglio di sé, riunendo nel proprio pubblico i delusi di Woodstock con la nuova generazione di “rockers”, semplicemente alla ricerca di emozioni forti ed inaudite. Questa commistione eterogenea è l’origine dell’amore e odio che caratterizza il rapporto tra il proprio pubblico e gli Zeppelin, più volte accusati di essere reazionari. La leggenda vuole addirittura che i soldati americani ascoltassero “Whole Lotta Love” per “pomparsi” prima di andare a bombardare i villaggi vietnamiti. Poco importa. Il dirigibile è già in volo.

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