Vinicio Capossela, Teatro Bibiena (Mantova) (20 maggio 2001)

Benvenuti, questo è un concerto sperimentale, un prototipo, potrebbe funzionare ma anche scoppiarci tra le mani”.
Per Capossela una data all’interno della rassegna “Mantova Jazz 2001” in cui avrebbe dovuto esibirsi con Pascal Comenade, ma a causa di un imprevisto il cantautore italiano si è ritrovato solo con la sua musica e i suoi “strumenti inconsueti”.
Il concerto ha avuto i suoi eleganti quaranta minuti di ritardo. Ha interceduto per Vinicio lo splendido Teatro Bibiena di Mantova dove si è consumato lo spettacolo del Cappellaio Matto.

Non è un saltimbanco da piazza Capossela, nemmeno un artista da club d’élite; sta in un mondo tutto suo, che è il mondo della grande fiaba ottocentesca: quella di Carroll e di Collodi, popolare e colta ad un tempo o, per meglio dire, meno popolare e più complessa di quanto possa sembrare. Nulla di più appropriato dunque del fantasmagorico barocchetto del piccolo teatro mantovano, spazio raccolto ma fantasiosamente dilatato dalle superfici curve e tormentate dal chiaro-scuro: teatro della finzione e della sorpresa, appunto. In questa dimensione altra non c’è bisogno di grandiose e complicate scenografie, di fondali speciali, perché la struttura evocativa non solo è già pronta ma si estende a 360°, è l’ambiente stesso. In questo modo la donna di cartone sul palco può divenire, da semplice elemento esornativo, uno dei membri del complesso, e come tale essere presentato insieme agli altri.

Nemmeno a farlo apposta elemento caratterizzante del concerto era l’uso di strumenti inconsueti: all’armonium, all’organo Farfisa, al pianoforte, alla chitarra e al contrabbasso, si sono uniti mandolino, banjo, marimba, sega, palloncini, organetto Barberia (quello azionato da una manovella…), bottiglie, alcuni aggeggi usati da Vinicio, fra i quali addirittura un pupazzo di gomma dura, di quelli che, compressi, miagolano e, mirabilis in fundo, suonato direttamente dal suo inventore, Gianfranco Brisi, uno strumento idiofono di cui ignoriamo il nome, costituito da un insieme di bicchieri di varia forma e dimensione che, sfregati sull’orlo, producono suoni differenti, amplificati dalla sottostante cassa di risonanza. Una presenza in verità soprattutto decorativa, ma funzionale a questo convito pazzerello, tanto simile a quello a base di tè che il Cappellaio e i suoi compagni offrirono ad Alice. Ed ecco, sul pianoforte, al centro del palco, c’è persino un grande orologio… Il coniglio parlante è dietro l’angolo.