CASINO ROYALE, CRX (Polygram, 1997)

“CRX”, ovvero Casino Royale numero dieci. Il decimo album, e l’ultimo. Sono anni che King Palma e soci lavorano separati, collaborano, diventano nuove cose, siano Blues Byters o Soul Kingdom. Un peccato, visto cosa ne era uscito fuori. “CRX”, ancora dal 1997, resta un album-scuola. Se l’Italia è buona solo per la musica classica e per la disco usa e getta, avete bisogno di ascoltare cosa hanno inventato i Casino nel giro di due anni, nel corso di due album. Ordine! Allora, il 1996. Fino ad allora era stato solo ska. Ska di qualità, nuovo, originale, stimolante e tutto. Buona musica ma niente più. Ciò di cui vi voglio parlare qui è invece una specie di miracolo, e per quanto mi riguarda una rivelazione. Chi scrive è il vostro fedele rapparo, che vi parla dei Casino Royale per la sola ragione che a partire dal live del 1996 su quello ska ci misero le dita i Sangue Misto. All’apparenza non doveva cambiare poi molto. Si trattava dello stesso ska degli album precedenti, che stavolta però veniva passato per le macchine. Le ‘ruote d’acciaio’, i mixer, i piatti, i suoni nuovi dell’hip hop e non quelli facili dell’house o del trip hop. Mi rendo conto che per i fans dei Casino poteva non essere una bella notizia. Il live “Adesso!” scrolla e rilancia uno stile che sfocerà in questo “CRX”, ma di fatto spegne il gruppo. Ora i Casino sono sparsi per la musica italiana, a distribuire un po’ di esperienza e qualità. Ma se “CRX” è stato il loro canto del cigno, certo non si è trattato di un lamento. E l’eco ancora si sente.
Le produzioni sono curate da Dj Gruff. Dj Gruff l’estremista, l’integralista, il purista dell’hip hop. I Casino suonano, del resto sono musicisti, ma la musica la orchestra uno dei maggiori dj e turntablist d’Italia. Gli scratch e i suoni campionati compongono una trama che alterna hip hop, ska e dub in un nuovo progetto. A volerlo collocare si potrebbe parlare di dub appunto, ma non basta. Gli Almamegretta e i 99Posse fanno dub, più o meno. “CRX” invece non ha una simile omogeneità. Ogni traccia è un’invenzione, e in ogni traccia il percorso è rettilineo, non circolare… Oddio credo di star complicando le cose. In due parole, ogni canzone è il confronto dei vecchi Casino, cantati e melodici, col nuovo corso elettronico. I due stili si intrecciano, prevalendo o facendosi da parte, in ogni canzone in maniera differente. Stupefacente. L’album è godibile, per intero, e vario e denso. Le parole sono importanti, liriche e asciutte e ponderate, nient’affatto forzate. Gli strumenti, il campionatore e i piatti si scalvalcano l’un l’altro, e così è la voce a far da collante. Di solito in queste situazioni c’è qualcosa, un giro di basso, qualche lavoro alle tastiere o chessoio che incolla tutti i movimenti di una canzone. In “CRX” invece vige la legge di Gruff, più vicino al jazz che al funk. E così strumenti, campionatore, piatti e voce stanno appaiati sullo stesso livello, ciascuno a crescere e fare le sue cose mentre partecipa al progetto generale della canzone.

Al di là delle elucubrazioni barbine, sto cercando di mostrarvi come l’originalità in quest’album abbia ragioni pesanti. Ragioni che fanno sì che l’ascolto potrà essere trascinante, o al contrario persino fastidioso, ma mai deludente. Un album di questo cabotaggio non dovrebbe star recluso in Italia. Non credo poi abbia avuto chissà che successo, all’estero, ma non è questo il punto. Ascoltando “CRX” e “Adesso!” ho avuto la stessa sensazione di importanza e valore che mi avevano provocato a suo tempo i Massive Attack. Che possono non piacerti, e puoi correre a cambiare cd, ma il tempo trascorso con loro non è stato tempo perso.

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