MAXIM, Hell’s Kitchen (Xl-Recordings, 2000)

Maxim si mette in proprio. Dai Prodigy e dalla techno all’hip hop come non ci si crede. “Hell’s Kitchen” costituisce il riscatto della musica elettronica, o la sua morte. Dipende da cosa pensiate dell’hip hop, perché “Hell’s Kitchen” è un album rap. Molto molto molto estremo, proprio molto. E ora che l’ho in heavy rotation da qualche settimana capisco perché Maxim si agitasse tanto a dichiararsi un master of cerimonies, un cantante rap insomma. Intanto la provenienza. Mica facile ottenere rispetto nella scena hip hop, se hai partorito e fatto grandi i Prodigy. Poi, il singolo è “Carmen Queasy”, quella creatura acida dominata dalla voce delirante di Skin (Skunk Anansie). Che farne allora, di un album così? Ascoltare, e stupirsi.
La mente (e il braccio) musicale dei Prodigy realizza un sogno. Uno di quei sogni a cui non pensi, perché non sono di questa terra. Come la Nutella che non ti ingrassa, il parcheggio in centro, la botte piena, la moglie ubriaca… Maxim si accontenta di fare un tutt’uno di drum ‘n’ bass e hip hop. In due parole, a dare un’anima lirica al fuoco della musica elettronica. Lasciar libera la drum ‘n’ bass, e intanto darle i testi di un album di hip hop. Un’ottima occasione per chi la drum l’ha ascoltata solo in discoteca, disfatto di sudore e decibel. Anche se, mi rendo conto, album come questi hanno tutti un problema. Possono piacere a chi ascolta hip hop e a chi ascolta drum (o dub, o anche techno), o possono non piacere a nessuno dei due. Perché non si tratta tanto di un ibrido tra i due stili, comunque fratelli. Sono proprio i due stili che funzionano insieme. Come se i Prodigy, con quelle basi e tutto, avessero anche cantato qualcosa. I Prodigy con i testi, e c’è dell’altro. Le prime tre tracce e qualcunaltra sparsa sono puro suono drum. Le altre si spartiscono i generi. Due generi, l’hip hop e il trip hop. “Spectral Wars” e “Universal Scientist”, sono puro rap contemporaneo inglese. Ottimo rap, inoltre. Ma lo stupore, quello avanzato dopo le prime tre tacce, va conservato per il trip hop. Mi sto ubriacando di sigle e etichette, non capisco più niente. Resti per buono che questo è un album hip hop, che se vi piace il rap degli ultimi due anni vi piacerà anche “Hell’s Kitchen”. Vi piacerà moltissimo. Tornando al trip hop, il resto dell’album ricorda il lavoro di un altro trio di inglesi celebri, i campioni del suono di Bristol. I Massive Attack di prima di “Mezzanine”, per l’occasione assorbiti dall’hip hop.

A meno che non siate allergici ai suoni sintetici, “Hell’s Kitchen” dovrà essere vostro. Il singolo è il duetto con Skin, e dà il segno della novità. Ma la traccia maestra è “Killing Culture”. Il talento di Maxim equilibra suono e parola, e lo fa per un intero album. “Killing Culture” però è il manifesto dello stile, la traccia prototipo. Forte, profonda e tutto quello che vorrete trovarci, anche se sarete affezionati alle rime inimitabili di Rakim o alle basi perfette dei Massive. Non privatevi dell’esperienza, comunque usiate la musica. “Hell’s Kitchen” è un album da cuffie o da party, funziona bene sottotraccia e sulla pista. E per i seguaci del movimento hip hop, Maxim offre un nuovo punto di vista. Quando da qualche tempo nel rap pare vincente la musica suonata, Maxim reintroduce le macchine. Pochi piatti, poco mixer, poco turntablism e poco dj’ing. Al loro posto il monte di suoni che nutrono il Garage, il trip e la techno. Su Kalporz abbiamo già incrociato i Nextmen, inglesi di Bristol con la passione per la musica elettronica. Allora, diciamo che i Nextmen dall’hip hop hanno allungato le mani sul trip. Invece Maxim proviene dal drum ‘n’ base, entro cui ha accolto l’hip hop. Per questa ragione “Hell’s Kitchen” è un unicum, accecante di equilibrio e di talento.

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