GURU, Jazzmatazz vol. 3 Streetsoul (Virgin, 2000)

Una leggenda dell’hip hop che si mette a fare jazz. Che storia è questa? E non è nemmeno la prima volta. La fusion fra jazz e rap è già passata nelle mani di Guru per ben due volte. Si chiamavano anche loro “Jazzmatazz”, ma era diverso. Il primo, soprattutto. Aspettandomi un progetto di fusion tradizionale, c’ero rimasto un po’ male, ai tempi. In effetti era solo rap con qualche tromba qua e là… Ma grande rap, e quel primo album resta fra gli apici della carriera di Guru. Il secondo molto molto meno felice, e ora “Streetsoul”. Un bel ritorno, discreto, d’atmosfera.

Cercherò di essere il più professionale possibile. Vi dico subito però che a me nel rap piace il funk, il jazz lo ascolto volentieri quando è assorbito del tutto dall’hip hop. Quando lo fa Premier, insomma. Con Guru, Premier ha fondato i Gangstarr, il duo storico e geniale da Chicago. Signori! Il duo con Premier! Premier il produttore più desiderato da chi proprio non sopporta la scena di Los Angeles, Premier il signore del beat, la perfezione e la purezza ai piatti (i piatti dei giradischi). Per dire, è quello che ha prodotto una traccia per i Limp Bizkit, e in quella traccia i Limp Bizkit sembravano quasi i Wu Tang Clan… E allora cosa va a cercare uno come Guru se ha a disposizione, non so, un Michelangelo a dipingergli le basi? Va a cercare le radici della black music, e va a fare il terzo volume di una serie molto fortunata (anche in Europa!). Le radici della black music dunque, e il jazz si presta alla fusion, e all’hip hop proprio non dispiace succhiare i generi. Guardate cosa ha fatto del rythm & blues… Il progetto di Guru però è diverso. Guru ci mette il talento e la voce, e il mestiere di mc, gli altri ci mettono il jazz. Chiama alla sua corte artisti come Isaac Hayes o Herbie Hancock, li fa suonare e duettare con lui, con esiti buoni, decenti, e persino esaltanti. Quello che cerco di sostenere è che Jazzmatazz scorre accanto all’hip hop, marcia a vista, ma non vi si mischia. I The Roots hanno mischiato i generi, hanno fatto rap strutturato con il jazz. Glien’è valsa la definizione antipatica di jazz-rap, e un bel periodo di isolamento in patria. Cosa che non rischia Guru. Perché la sua vetrina di hip hop Guru ce l’ha. L’abbiamo detto, sono i Gangstarr, non ha altro da dimostrare. E Jazzmatazz cos’è allora? Appunto, si tratta di fusion. Una fusion sbilanciata sull’hip hop, ma appunto un ibrido. E in natura, gli ibridi spesso sono infecondi…

Non mi fraintendete, “Streetsoul” è un bell’album. Si ascolta bene, è piacevole e in un paio di occasioni emozionante. I ‘ma’ stanno a monte e a valle dell’album. Come Venezia, “Streetsoul” è bello ma non ci vivrei. Lo ascolto ma non me ne augurerei un altro. Ha poco da dire all’hip hop, ha davvero niente a che vedere con il jazz. Va bene va bene, è un signor album, sono trenta mila spese bene. E’ uno di quei rari lavori capaci di piacere a tutti. Se proprio non odiate l’hip hop, “Streetsoul” vi piacerà, ci giurerei. Se dovete fare un regalo a qualcuno, a qualcuno che ascolta musica recente, con “Streetsoul” è difficile toppare. E farete un regalo di qualità, anche. Diciamo che assomiglia a quell’album di Bob Marley uscito un paio d’anni fa. Di Bob Marley c’era la voce campionata, con i rappers d’oggi che duettavano e rinnovavano i pezzi storici del signore del reggae. In quel caso, nonostante l’alone di sciacallaggio che lo accompagnava, si trattava di un gran bell’album. Un unicum, fatto e ascoltato, e messo via. “Jazzmatazz Streetsoul” possiede la medesima buona levatura, e la stessa inutilità. Un capolavoro usa-e-getta? Non gettatelo, ma non chiamatelo capolavoro.

Due super hit: “Night Vision”, quella con Isaac Hayes e “Timeless” con Herbie Hancock. Le altre si appaiano sul tetto spazioso della decenza.

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