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Nella pubblicazione The Invention of Tradition, curata dalla coppia Eric Hobsbawm–Terence Ranger ed edita dalla Cambridge University Press nel 1983 (uscito in Italia per Einaudi), emerge il concetto di tradizione inventata: Hobsbawm nel suo saggio – di introduzione ai casi studio degli altri storici – pone come ipotesi che «…tradizioni che ci appaiano, o si pretendono, antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta». I Milkweed, duo folk sperimentale britannico dall’identità misteriosa (si fanno chiamare con le iniziali G e R), non sono degli inventori di tradizioni ma – se si può dire e avere senso una definizione simile – degli anti-futuristi: il passato e le tradizioni non sono elementi da distruggere o spazzare via ma da far (ri)vivere nel presente sotto una lente diversa, futuribile perché anche ciò che è fatto (per davvero) nel passato può assumere nuove forme nel futuro ed essere recente, attuale senza essere stravolto o sembrare completamente inventato: «la gente potrebbe smettere di pensare alla tradizione come a un modo fisso di fare le cose […] e trovare nuovi mezzi di espressione più fluidi», racconta il duo a Still Listening Magazine. Nelle pubblicazioni discografiche dei Milkweed, soprattutto nell’ultima del 2025 – Remscéla – il suono è disturbato, distorto, lo-fi: segnali dal passato che vengono trasmessi nel presente in una veste sonora di rottura rispetto ai canoni folk. Nel caso specifico, il duo si è confrontato con il testo delle prime pagine del racconto epico del Ciclo dell’Ulster Tàin Bò Cuailnge nella traduzione di Thomas Kinsella del 1969. Nei dischi precedenti, invece, le fonti di ispirazione – sempre casuali – sono stati gli studi folcloristici accademici pubblicati dalla The Folklore Society nel 1979 e lo scritto The Mound People: Danish Bronze Age Man Preserved dell’archeologo Peter Glob. Difficile e sbagliato etichettare la musica del duo ma nell’articolo/intervista di The Quietus del 2024, sembra che i Milkweed abbiano coniato per definire la propria proposta artistico-creativa il termine slacker trad.
(Monica Mazzoli)