CAROLINE POLACHEK, “Desire, I Want To Turn Into You” (Perpetual Novice, 2023)

Mai come in questo momento, monopolizzato in Italia da ciò che sappiamo, c’era bisogno di un disco pop del genere, a ricordarci che fuori dai nostri confini il pop contemporaneo gode di ottima salute. A quasi quattro anni da “Pang”, primo album a suo nome dopo quindici anni di carriera, nel giorno di San Valentino del 2023 Caroline Polachek ha finalmente pubblicato il seguito, “Desire, I Want To Turn Into You” sulla sua etichetta Perpetual Novice (con distribuzione Sony).
L’attesa era giustificata non solo per gli ottimi presupposti di “Pang”, ma soprattutto per la serie più o meno irripetibile di hit che a partire dall’estate del 2021 ci hanno traghettato verso l’uscita del disco, con lunghe sessioni di registrazioni con l’amico Danny L Harle (che compare anche in copertina) e Sega Bodega, tra Londra e Barcelona con in mezzo un tour insieme a Oklou e un altro in supporto di Dua Lipa: le irresistibili “Bunny Is a Rider” e “Billions” che come rilevanza suona già come la “Oblivion” di Grimes degli Anni Venti, le più piacione “Sunset” e “Blood and Butter” dove una chitarra tra western e flamenco e una cornamusa post-Enya la portano su scenari imprevisti senza snaturalrla. Come ha dimostrato nel più congeniale singolo “Welcome To My Island” che apre il disco in pieno stile Polachek, il suo segreto è stato quello ovvero di dare un’evoluzione contemporanea al mondo synth-pop grazie a un’ispirazione, un gusto pop ormai quasi del tutto maturato e una propensione alle contaminazioni. Di recente Polachek ha collaborato a vario titolo con Hyd, Charli XCX, Oneohtrix Point Never, Christine and the Queens e già dieci anni fa aveva lavorato con Blood Orange, Travis Scott e addirittura Beyoncé, ormai dieci anni fa, da co-autrice e co-producer di “No Angel”, traccia del disco omonimo della regina dell’R&B.
Quella di Caroline Polachek, da una storia cosmopolita i cui riflessi sono anche oggi abbastanza evidenti, poteva diventare una storia comune a quella di decine di meteore indipendenti di un decennio fa o poco più che da una costa all’altra degli Stati Uniti si palleggiavano l’hype e la reputazione di next big thing. Da una parte Los Angeles con quella patina un po’ lo-fi e i colori molto Netflix prima di Netflix, dall’altra Brooklyn con quella patina più avant. Due facce della stessa medaglia in un universo molto traversale di sonorità e generi. I suoi Chairlift, come altri omologhi, erano non immediatamente identificabili geograficamente. Lei è nata, come pochissimi suoi colleghi, a Manhattan ma cresciuta in New England, prima del trasferimento della famiglia in Giappone. Il duo che l’ha resa famosa insieme al partner di allora, Aaron Pfenning, è nato tecnicamente nel West (Colorado), ma si è fatto strada sulla costa opposta quando i due si sono trasferiti nel cuore della scena del tempo (Williamsburg) per mettersi in mostra con “Does You Inspire You”, “Something” e “Moth” prima di separarsi. Lei è saputa andare oltre, per fortuna, con i progetti interlocutori Ramona Lisa e CEP, prima di tornare a essere Caroline Polachek (e sarà in Italia per la prima volta da solista per l’edizione 2023 di C2C).
Il suo mai sopito retaggio artsy del resto è vivo e vegeto e si sente, quando da un minuto all’altro si passa agilmente da momenti Cocteau Twins a momenti in cui la sua voce abbraccia senza calcare la mano suggestioni tra PC Music, future R&B e affini a PinkPantheress in “Fly To You”, traccia dove accoglie due voci di generazioni molto diverse, Dido e Grimes, e che però si adeguano molto all’equilibrio musicale di “Desire, I Want To Turn Into You”.
Il resto lo fa la sua voce limpida, tersa, abbagliante che è un dono anche per chi ascolta e che messa al servizio di questo pop non poteva che regalarci dopo nemmeno due mesi uno dei dischi più importanti del 2023.

84/100