JEREMIAH CHIU, MARTA SOFIA HONER, “Recordings From The Åland Islands” (International Anthem, 2022)

Poco conosciute, poco visibili e ancor meno note; sparse nel Golfo di Botnia, nel Baltico, e strette tra Finlandia e Svezia: le isole Åland sono un arcipelago di un numero imprecisato di isole formalmente finlandesi ma con cuore e mente svedesi. Ed è proprio in questo sparuto affastellamento di terre lambite dal mare che sbarcano la violista Marta Sofia Honer e il multistrumentista Jeremiah Chiu. Arrivati con la lodevole ma non musicale intenzione di aiutare degli amici ad aprire un albergo sull’isola principale dell’arcipelago, i due musicisti sperimentali, noti tanto nella scena di Chicago quanto in quella di Los Angeles, sono rimasti così affascinati dall’ambiente circostante da raccogliere vari field recording del luogo; da questa collezione rumoristica è nata una collaborazione che ha poi maturato il suo frutto finale in un disco, prosaicamente intitolato “Recordings From The Åland Islands”.

Non si pensi tuttavia ad un album di mera musica concreta: qui infatti il canto isolano, fatto tanto dello sciabordio dell’acqua quanto del respiro resinato di antiche foreste, si fonde ottimamente con morbidi tappeti di synth e pensose trame d’archi, creando un panorama elettroacustico dalle suggestioni pastorali; panorama che ha tanto il pregio di sedurre l’orecchio sulla breve distanza, quanto di ripetersi un po’ eccessivamente man mano che il disco procede.

La Honer e Chiu dipingono undici brani che hanno il tono tenue dell’acquarello: l’iniziale “In Aland Air” è una promettente introduzione ai vapori umbratili del disco nella sua nebbiosa trama di synth, mentre la successiva “On The Other Sea” è una pennellata color pastello sospesa a metà tra bordoni di viola e il fluire dell’acqua, con discreti interventi percussivi sullo sfondo. Il paesaggio si fa leggermente più scuro nella successiva “Snåcko” – nome di un’isola molto vicina a quella dove i due musicisti sostavano -, dominata dal timbro sinuoso e brumoso della viola, qui contornata da canti di uccelli e scalpiccii tra foglie di bosco. E nemmeno quando tra i solchi del disco appaiono le prime voci umane, l’armonia tra elementi viene meno: “Stureby House Piano” è una breve cantata in cui il pianoforte arpeggiato si mescola a voci e dialoghi vari, frammentandosi poi nell’aria in tante piccole note di synth. La mistura tra suoni d’ambiente e parti strumentali è probabilmente la miglior caratteristica del lavoro, riuscendo ad essere talmente ben calibrata da risultare assolutamente naturale: i gorgoglii di synth, le trame della viola e i rintocchi del pianoforte paiono essere parte dell’isola da sempre, con Chiu e la Honer che si sono limitati a raccogliergli e a dargli vita su pentagramma.

Ma tra finezza e elegante vacuità corre un filo sottile e man mano che si procede nell’ascolto si ha la sensazione che tutto rimanga un po’ sbiaditamente uguale a sé stesso a livello timbrico, con i brani che si rincorrono tra di loro senza distinguersi troppo dal mood generale etereo e sognante del disco. Cosi, “By Foot By Sea” ricalca quanto sentito precedentemente, con l’intreccio tra arpeggi e voci d’arco che si uniscono a voci umane e all’aria tutt’intorno; e nemmeno “Anna’s Organ” si discosta molto dallo spartito, con un bordone uggioso di organo – registrato in una delle chiese dell’arcipelago, la Kumlinge Kyrka – che si trasforma progressivamente in synth celestiale. Non aiuta nemmeno il fatto che il duo sia tanto abile a cogliere su nastro onirici paesaggi acustici quanto poco interessato a donare a questi qualche sprazzo melodico in più, elemento sottovalutato ma in realtà importante anche in una musica dalle regole particolari come quella d’ambiente.

“Recordings From The Åland Islands” è una serie di placide cartoline da viaggio raccolte in un baule, testimone di luoghi e persone dentro e fuori e dal tempo; un disco con dei limiti, certo, ma anche di dolce onestà espressiva.

65/100

(Edoardo Maggiolo)