[#tbt] Pinback, delicatezze di fine millennio

“La mia banca è differente”, diceva un vecchio adagio pubblicitario, e anche il mio algoritmo lo è. Beh, è il mio algoritmo, ed è giusto che sia così. Sto parlando dell’algoritmo di Spotify che purtroppo, o per fortuna, ormai ci becca davvero tanto, sono bastati un paio di anni di abbonamento e ha raggiunto livelli che Deezer in 5 anni non si è sognato minimamente.

E così questo giovedì mi toccava il #tbt e il mio algoritmo ha pensato bene di far partire, dalla radio basata su “Do You Realize??” dei Flaming Lips (l’avevo ritirata fuori perché inserita da Blow Up al 19° posto delle canzoni straniere più belle degli anni 2000), una canzone di un gruppo che non avevo mai incrociato, i Pinback. Più in particolare un estratto dal loro album d’esordio omonimo del 1999, un brano dal titolo “Loro”: l’arpeggio rarefatto e stoppato, l’atmosfera sorniona (“sonnolente”, l’ha definita invece Scaruffi), quel rullante che mi ha subito riportato a un po’ di tempo fa, mi hanno creato subito simpatia. Era l’anno del baco del millennio, la musica stava cambiando come ha dimostrato Trainwreck: Woodstock ’99, forse si era raggiunto il livello massimo di watt e bisognava rifermarsi, abbassare i potenziometri, e da qui nasce quella nuova sensibilità indie che riscopre la bellezza della frugalità dei suoni.

I Pinback sono un progetto di Rob Crow, cantante e chitarrista di San Diego che negli Heavy Vegetable – a metà anni ’90 – inseguiva un suono pesante, mentre “Pinback” sa di delicatezze sghembe-elettroniche folk degli inizi 2000 alla Grandaddy che ascoltate oggi fanno un po’ di tenerezza ma che sanno di buono. Non so se “Pinback” sia un album che meriti di essere ricordato nei secoli dei secoli, ma sono certo che valga la pena darci un ascolto, dargli una possibilità.

E così potrebbe essere che l’algoritmo e Kalporz, un po’ casualmente, abbiano riportato alla luce specie di quasi-piccola chicca, un album a cui manca qualcosa per essere influente ma che svela tanto fascino, non un album trascendentale ma uno di quelli che – nonostante tutto – ti va di approfondire, di ascoltare dall’inizio alla fine. Che è un po’ la bellezza dei perdenti, di quelli che non mollano e che, nonostante siano dimenticati, con un colpo di coda ti riappaiono così, in un giovedì qualunque, più di vent’anni dopo.

P.S. I Pinback pareva fossero ormai storia e sepolta visto che nel 2015 Rob Crow aveva dichiarato di voler abbandonare la musica, ma ora li si ritrova in pista, quantomeno dal vivo, con spettacoli fissati per il 2023.

(Paolo Bardelli)

Sempre qui su Kalporz:

PINBACK, Summer In Abaddon (Touch & Go, 2004)