[Meeting] Gli ecosistemi digitali di Biodiversità Records

MEETING è il nuovo contenitore che abbiamo ideato per mettere in risalto alcune di quelle realtà che operano nell’underground musicale italiano (e non solo) producendo musiche fuori dai grandi riflettori e dalle convenzioni di stile, rendendo il panorama discografico più vario e interessante e incessante fonte di scoperta per noi appassionati. In ognuno di questi appuntamenti presenteremo una label tramite un’intervista a chi la cura, e tre uscite della stessa: la più recente e altre due che aiutino l’ascoltatore a calarsi nel mondo sonoro proposto. Buona lettura, buon ascolto.

Biodiversità Records

Il primo appuntamento di MEETING è dedicato a Biodiversità Records, etichetta fiorentina nata nel 2017 per volontà di Pietro Michi (P.I.T. , FossaDelRumore) che a oggi presenta nel suo catalogo 25 uscite tra compilation, split, EP e LP, principalmente dedicate a elettronica sperimentale e ambient music. Uno degli elementi che rende particolarmente interessante l’esperienza di Biodiversità è che, anche da uno sguardo veloce alla pagina bandcamp della label, è l’ecosistema organico che è alla base di tutto il progetto. Musica, grafiche e merch fisico creano un immaginario a metà tra il reale e il digitale che rendono Biodiversità un ambiente unico nel panorama musicale italiano.

Per saperne di più e indagare i vari aspetti della label, ho dunque incontrato Michi. Di seguito, la trascrizione della nostra chiaccherata.

Ciao Pietro. Partiamo dai convenevoli: come descriveresti Biodiversità a un ascoltatore che non ha mai avuto occasione di averci a che fare?

Biodiversità nasce con l’intento di essere un’etichetta indipendente, e si è ritrovata a essere più un portale per artisti. Non possiedo nessun diritto infatti della musica che pubblico, così che gli artisti possano ricaricare sui propri canali o rivendere la propria musica, io do loro semplicemente un canale per far esistere il proprio lavoro e pubblicizzarlo in tutti i modi possibili. Il mio lavoro ha due punti focali; il primo quello di aggregare artisti e di mandare un messaggio legato all’estetica della natura senza nessuna forma di giudizio, e con dei messaggi non troppo dichiarati. Inoltre mi piace molto l’idea di trattare musica sperimentale senza prendersi troppo sul serio, così che anche un utente random che ascolta senza già una base culturale approfondita possa riuscire a rendersi conto di quello che sta succedendo, sia tramite la varietà delle uscite -tra ambient, ritmi, e sperimentazione- sia con l’assenza di approcci realmente estremi, con l’eccezione di un paio di uscite noise o elettroacustiche che ci sono state. Non mi piace l’aura di inaccessibilità legata al mondo dell’elettronica indipendente.

Eh sì, a volte anche da dentro sembra di trovarsi davanti a cose ben più imponenti di quello che alla fine sono, tra comunicati che sembrano uscire da manuali di filosofia e brani inutilmente complessi… Riguardo alle uscite, come ti muovi? Sei più solito chiedere direttamente agli artisti o aspetti le loro proposte? E come riconosci un disco che si inserisce bene nell’ecosistema Biodiversità?

Al momento è un 70/30, ho chiesto più io agli artisti che accettato demo, anche se quando arriva qualcosa di valido, è difficile dire di no… Rispetto alla seconda domanda una risposta è più difficile: a parte il mio gusto personale, è anche molto casuale questa scelta. Anche se per me l’ambient è sempre rimasto un punto di riferimento, c’è enorme varietà nel catalogo, eppure a volte chi ascolta mi dice di trovare un fil rouge all’interno della discografia. Lavoro molto per immagini, ricerco una visione cinematica di quello che ascolto e infatti spesso mi ritrovo a lavorare molto sull’estetica del lavoro. A volte mi arriva della musica senza concept, e lo creiamo insieme; altre partiamo da un concetto e da lì costruiamo un mondo sonoro intorno. Ma questa questione dell’estetica è centrale, mi deve stimolare a collegare il disco a quello che è l’evoluzione del concetto di digitalizzazione della natura, la sua bellezza, i suoi problemi, per me è come avere un grande schema con tutti questi temi sotto ai quali vado a incastrare le varie uscite Biodiversità.

Anche a me sembra di vedere quel fil rouge tra le uscite che citavi… ma oltre a questi macro temi, esiste un concept generale di Biodiversità? Anche in origine?

Beh, se ce lo vedi, prima prova a rispondermi tu!

Quello che ci vedo io è un ambiente nel quale gli artisti provino a immaginari ecosistemi digitali aldilà dell’uomo, dei soundscape nei quali l’uomo non è previsto o addirittura non esiste più…

Beh, è la risposta più giusta che potresti darmi… senza alienarsi però dal mondo reale, che è molto presente in Biodiversità come nelle compilation di field recording che ho pubblicato. Come dicevo prima, c’è sempre questa parte cinematica dell’ascolto ed è quello che mi interessa maggiormente. Non è richiesto agli artisti di immaginare ecosistemi, ma perchè possa pubblicare serve che io riesca a vedercelo dietro. Esistono dunque questi piccoli ecosistemi che poi vanno a creare una biosfera, che se vai a esplorare trovi piena di nicchie ecologiche che poi puoi andare a immaginare insieme all’artista. Oltre questo, chiaramente è un invito a preservare la bellezza della natura, ma senza essere didascalico nè apocalittico: il messaggio vuole essere scopri il mondo naturale, guarda quanta roba c’è, interessati…

Ok, però è molto forte anche l’aspetto digitale

Certamente, nel mondo digitale lavori in quanto etichetta indipendente, e poi anche perchè mi interessa il concetto di creare nuova vita attraverso le forme create dall’uomo. Creo veri e propri ecosistemi digitali pieni di forme di vita non realistiche tramite modelli 3D, quindi dall’aspetto di scoperta della natura si arriva al momento di condivisione con la natura, in due spazi: quello del nostro pianeta e quello digitale, nel quale vive l’etichetta e molti dei suoi lavori.

Viene fuori veramente spesso il tema dell’estetica e della rappresentazione in questa chiaccherata. Ma quanto pesa l’aspetto estetico nel lavoro di Biodiversità?

Ti direi la metà. Anche quando non si parla di cover o merch, le immagini evocate dall’ascolto sono sempre presenti, anche senza narrazione. Pensa ai libri di botanica…

Biodiversità presenta molti lavori collettivi, da split a compilation; addirittura nell’ultima uscita “Symbiotic Chants” ogni brano è affidato a una coppia di artisti. Qual è la direzione dietro a questa scelta?

In effetti sono pochi i lavori nei quali gli artisti lavorano completamente soli; anche nei casi di split, infatti, c’è un obiettivo comune che ci diamo insieme e condivisione di materiali o di visione, cercando di unire più elementi. Questa scelta se ci pensi è implicita nel nome della label! Con due persone più io, che quasi sempre sono coinvolto nel processo creativo, viene sempre fuori qualcosa di più complesso. Mentre nelle compilation o nelle raccolte di field recording al contrario è più difficile che gli artisti si parlino tra loro. In ogni caso mi piace questa situazione da aggregatore di esperienze. Ogni lavoro poi viene arricchito in maniera naturale.

Una sorta di network per producer, insomma…

Guarda, questa questione del networking esisteva soprattutto nei primissimi lavori di Biodiversità. A esempio due dei primissi lavori pubblicati, “Isolato” e “Allegro” partivano con questa idea di networking sulla base di quello che diceva David Byrne sul lavorare a distanza grazie a internet. In quelle due compilation avevo creato un drone di base molto semplice che poi inviavo a vari artisti che ci hanno lavorato sopra in piena libertà, usando parti della clip che gli avevo inviato.

In ogni caso, oltre a tutta questa attenzione per il digitale, devo dire che anche il merch di Biodiversità è veramente curato e unico, tra fanzine, tavolette, collane e supporti non tradizionali…

Spesso è una questione di artigianato. Ti spiego: mi metto in testa di imparare a fabbricare un gioiello con l’argento e imparo, la prendo come scusa per divertirmi e fare qualcosa di nuovo. Comunque si tratta sempre di pochissimi pezzi, sia perchè faccio quasi tutto io a mano sia perchè l’importante è che la gente ascolti la musica e veda che esista questo manufatto che fa parte dell’estetica generale di cui parlavo prima. Le uscite fisiche sono più un feticcio per collezionisti come magari mi ritrovo a essere io. Poi esistono anche cassette o CD più semplici, perchè capisco che non tutti sentano il bisogno di gadget così elaborati correlati a un’uscita musicale. Questo, come altri progetti paralleli di Biodiversità -come Biosphere-, cercano di avvicinare a una concezione di digitale organico, un digitale che ormai fa parte della nostra vita in modo diretto o indiretto.

Symbiotic Chants – V.A. (2022)

Ultima uscita dell’etichetta fiorentina, è una compilation che presenta otto brani ai quali hanno lavorato coppie di artisti. Dall’ambient al clubbing, dall’elettroacustica allo spoken, “Symbiotic Chants” presenta una forza narrativa notevole dove una voce comune riesce a trovare uno spazio nella contaminazione di due diverse visioni della musica.

Leisure Beats for Absolution – L O S C I (2021)

Con L O S C I ci troviamo di fronte a un’elettronica aggressiva, veloce, distorta ma che per questo non vuole rinunciare alla sua matrice clubbing. Ritmi serrati e batterie killer per quello che è stato uno dei miei dischi deconstructed club (ma è sempre à la pagè questo termine?) preferiti degli ultimi anni.

Skótos – Nekia (2022)

Aridi paesaggi sonori vissuti in Scozia e riportati su nastro. Una raccolta di brani ambient nei quali improvvisazione e decostruzione di materiali audio si fondono, per restituire un suono che riesca a portarci mentalmente in una delle zone più selvagge e affascinanti d’Europa.