Forse le aspettative erano troppo alte. In base ai piani il 2021 doveva distaccarsi dal buio e lungo 2020 e prenderne fiero le distanze. Invece ne ha conservato il tono, le contraddizioni, le lacerazioni, l’umore, magari non la durata percepita, nel senso che non è durato quattro anni, mi pare. A livello musicale, soggettivamente questi due anni li sento abbastanza diversi: ricco istintivo ed emotivo il precedente. Faticoso, magniloquente e perfezionista il più recente. Forse perché la musica del 2021 (musicalmente) è figlia diretta del 2020 (in termini di vissuto generale) più di quanto non lo sia la musica del 2020 stessa. Comunque li guardiamo ci paiono due anni un po’ inscindibili, tipo quelle coppie di dischi che escono a breve distanza e al di là delle differenze di tono e di valori rappresentano una continuità a livello di gestazione. Come quel che si è sempre pensato delle canzoni di “Amnesiac”, ritenute un po’ “una seconda linea” rispetto a quelle di “Kid A”. Ecco, lì ci sono voluti 20 anni e un’operazione un filo epica (in stile 2021, appunto) per stimolare la voglia inversa di dividerli, quei dischi, di rileggerli come opere compiute e indipendenti. Questo discorso credo di averlo iniziato per dire che anche la musica del 2021 andrà inesorabilmente riletta un po’ più avanti. Una cosa che abbiamo fatto abbastanza spesso nel 2021 è stato forse rileggere e rimettere in discussione le cose. Per esempio non mi ero del tutto accorto (prima del trentennale) che botta di culo potesse aver rappresentato l’avere 16 anni nel 1991 e “incontrare” (anche fortuitamente) la musica proprio in quel dato momento. E poi, vabbè, ero pure arrivato fin qui con l’idea che John Lennon fosse quel tipo saccente, composto e oracolare, per dire. Ad ogni modo, il 2021 mi sembra abbia un po’ la faccia di Jordi Alba quella sera lì, al momento dei sorteggi e con Chiellini che se lo stropiccia.
Qui vado veloce perché la parte per me più divertente è la categoria di sotto…
Un tratto comune dei pezzi che ho ascoltato di più è questa attitudine ballerina. Trovo che sia solo una delle molteplici contraddizioni di quest’anno.
L’album non ha mantenuto la promessa che era stata fatta qui. Un po’ motorik, un po’ LCD Soundsystem.
La traccia più brillantemente ultrapop di questo lotto. Con quell’impronta nipponica oltretutto.
Chris Stewart mi piace perché la sua carriera replica in modo personale e moderno lo storico passaggio da un immaginario post punk a un’area new wave colorata fuori e darkettona nel midollo.
Collaborazione freschissima con Wild Nothing. Il risultato è diverso dalla somma delle parti perché insieme li vedi quasi danzare. E la cosa è piuttosto inedita.
Paradossalmente l’airplay radiofonico ha finito per farla dimenticare anzitempo. E invece.
Dance anni 90 da classifica. Però in salsa di soia. Deliziosa.
Il disco (d’archivio) uscito nel 2021 che è come se non fosse mai esistito.
La francesata più bella di quest’anno. Francesata non solo nel passaporto, proprio nella sostanza.
Cover dell’anno. Insieme ad Agebjorn prende Madonna, la copre di neve e di italo disco. Così il discorso si sposta da Malibù a Madonna di Campiglio nell’83 con Karina Huff.
Tutto il disco è una delle sorprese dell’anno. A modo suo abbastanza punk.
Pop classicamente sofisticato che sembra un po’ roba di Prince ma anche un filo ipnagogica.
Quando parte sembra vada in una direzione prevedibile, poi arriva questo ritornello ispirato che ha un’epica tutta sua.
Tra Chemical Brothers e l’electroclash. E tutta la roba inglese che ci può stare in mezzo.
Un pezzo diverso dal suo materiale più classico. La parte del ballo nel video è abbastanza commovente malgrado tutto.
Hanno sfornato talmente tanto materiale che in questa classifica avrei potuto metterne cinque delle loro senza sentirmi in colpa.
La cosa più divertente, stimolante, dopante del 2021. In totale contrasto con la realtà, quindi bella per questo.
Forse a essere obiettivi e a misurare i valori col bilancino, questo è il disco (scarno) più ricco dell’anno.
Uscito parecchi mesi fa, ha la tenuta del classico. Personale nell’accento, nei temi reiterati, nel tipo di elettronica fuori dal tempo.
Synth pop senza mezzi termini. Che però con un chorus ispirato e potente piscia via ogni vago appunto di faciloneria.
Un po’ goth lady, un po’ David Sylvian, la produzione di Joshua Eustis (Telefon Tel Aviv). Io direi che basta.
Tipo Battiato e Giusto Pio (esagerando un pochino, eh). Ma a Brooklyn. Nel 2021. Da recuperare tutto l’album.
Dal disco italiano più bello dell’anno. E questo è un pezzo con così tante suggestioni e riferimenti che non voglio nemmeno iniziare. Già che poi l’ho fatto qui.
Tra i Beah House e l’approccio chill wave. Canzone ricchissima sia per il lavoro di destrutturazione quanto per il contenuto melodico superlativo.
È qui in vetta per la semplice e tautologica ragione che è stato l’ascolto in loop. E poi, niente, quegli accordi lì.
Più che andarsene, Battiato quest’anno sembra aver “completato” il suo lungo addio. E se questo sia più doloroso o meno non lo so. Non ho scritto una riga delle millemila che intendevo scrivere. Alla fine ha sempre vinto il fatto che non ci deve esser fretta.