Tra iper-tecnologia e naturalismo nordico: i 20 anni di “Melody A.M.”

Gli scatti tecnologici sono una brutta bestia: l’altro giorno mi è capitata di iniziare (e di non continuare) una serie tv del 2001 che non avevo mai visto, “ALIAS”, solleticato dalla firma della stessa, quel J.J. Abrams che avrebbe poi in seguito creato “Lost”. I particolari che mi sono subito saltati all’occhio sono i computer con quei monitor ingombranti, i cellulari Nokia coi tastoni, insomma quell’ambientazione che voleva essere ultra-tecnologica ma oggi ci pare obsoleta e retrò, quando non si era ancora definitivamente implementato il touch screen, tanto per capirci. Considerazione ovvia, in 20 anni è cambiato moltissimo.

Con “Melody A.M.” – che proprio oggi 3 settembre compie 20 anni – è lo stesso, con la differenza che l’esordio dei Röyksopp non è un album invecchiato male, quanto piuttosto un disco di un’elettronica che nel frattempo è (ri)diventata classica. Sì perché se nei Seventies e primi anni Ottanta le produzioni dei Kraftwerk e poi successivamente di Vangelis e Jean Michel Jarre erano ciò di più tecnologicamente avanzato, futuristico, quegli album sono passati dall’essere “datati” al ritrasformarsi, man mano che il tempo passava, in “classici”.

Non ci deve essere stato molto da fare sul finire degli anni Novanta a Tromsø, quando cioè Torbjørn Brundtland e Svein Berge erano due amici appassionati di elettronica che si dilettavano nella produzione musicale per ingannare il cielo grigio e minaccioso della Norvegia, proprio come quello che è finito sulla copertina di “Melody A.M.”. Poco male: quel sentimento di attesa e soprattutto di voglia di colori è confluito perfettamente nell’album, e lo caratterizza ancor oggi. Ci sono una meraviglia di scoperte fanciullesche (“Eple”, “Poor Leno”), notti stellate nostalgiche (“In Space”), convulsioni post-industriali (“Röyksopp’s Night Out”), leggere passeggiate romantiche (“Remind Me”) e languidi retrofuturismi (“She’s So”).

Ma dopo 20 anni c’è una canzone che colpisce al di là delle melodie, ed è conclusiva “40 Years Back Home”: parte come se si azionasse un elettrodomestico un po’ ingombrante degli anni ’50, simbolo del boom economico e della nostra società industrializzata, ma si scioglie subito in un’eco lontana che a me dà l’impressione della natura che riprende il sopravvento; tra questi due opposti ne nasce una digressione lounge-jazz, ieratica, pensosa, vagabonda, come a dire che tra le due forme di vita, quella ipertecnologica e quella spiritual-naturalistica, rimane l’uomo con i suoi dubbi.

“Melody A.M.”, seppure inevitabilmente segnato – nei suoni – dall’epoca in cui è uscito, è ancora musica che sa fascinarci e soprattutto farci riflettere. E se non è questa prerogativa dei grandi album…

(Paolo Bardelli)