[#tbt] Dolce come una bacca: la New York di Laura Nyro

Che le città fossero più di una congerie di monadi isolate e di servizi pubblici, qualcosa di più di una semplice costellazione di istituzioni e di strumenti amministrativi è chiaro dagli inizi della prima rivoluzione industriale. Esse sono piuttosto un complesso artefatto che sposa simbolismi collettivi e vite universali, in un precario equilibrio che riesce a tenere insieme gli opposti a poche miglia di distanza. È per questo che le città si attraversano, si abitano e, soprattutto, si cantano.

New York alla fine degli anni ’60 mostrava le stesse contraddittorietà di qualsiasi epicentro artistico, con un occhio puntato sulle avanguardie minimaliste e l’altro sul revival folk del noto Greenwich Village. Laura Nyro cresce in mezzo a tutto questo, nel Bronx più precisamente, e fa tesoro di quanto impartitogli dagli ascolti di sua madre: Leontyne Price, Nina Simone, Billie Holiday, ma anche musica classica come Ravel e Debussy. Nyro, schietta e introversa, viene subito annoverata dal settimanale americano Newsweek fra una nuova generazione di troubadour femminili, cantautrici dal tono introspettivo e introflesso, assieme a Joni Mitchell, Melanie e Lotti Golden – lista a cui potremmo aggiungere, in ambito letterario, Sylvia Plath e Anne Sexton. E se questo ci dice molto sulla tendenza della stampa musicale di appiattire la creatività femminile su un’unica linea, è anche vero che fotografa perfettamente l’intimo rapporto che queste scrittici avevano con le metropoli circostanti. Ma se la New York di “Motor-Cycle” di Lottie Golden (1969) è avventurosa e confessionale, intrisa com’è della controcultura dell’East Village e macchiata dal medesimo immaginario di un romanzo di Kerouac, la città muta d’animo nello stesso anno in “New York Tendaberry”.

“New York Tendaberry” è fra i lavori meno accessibili della Nyro. Si ha spesso la sensazione di vagare senza meta nell’ascolto, quasi come se i pezzi venissero scritti man mano che vengono suonati. Un cantautorato d’avanguardia per l’epoca, senza dubbio, che influenzerà il movimento anti-folk e artiste quali la concittadina Regina Spektor e Diane Cluck. Ora la melodia si adagia su andamenti jazzy e blues, ora viene fatta cadere per lasciar spazio alla voce calda e teatrale della Nyro (Joni Mitchell la descriverà come “vin santo che scorre nelle vene”), che nella sua drammaticità non può che rievocare i grattacieli della Grande Mela. Nel gospel-pop di “Mercy On Broadway” e “Save The Country” – di fatto, gli unici successi dell’album – ha la profondità di un’orchestra, risuona di quel senso di comunità salvifica e del progressismo antimilitarista del Greenwich Village: “save the people, save the children, save the country now”.

Il disco, di struttura decentrata, è fluido e frammentario nella composizione, tanto da arrivare alla schizofrenia di un brano come “Tom Cat Goodbye”: una ballata dai mutamenti in ritmo e tonalità continui che reinterpreta allegramente la leggenda popolare di Frankie e Johnny e la loro storia di tradimento e assassinio. La parte finale del brano rappresenta uno dei climax più intensi di tutta la musica pop, mentre Nyro contempla l’omicidio del suo amante e lascia trasparire la disperazione fra le grida logoranti. E poi le due gemelle dell’album, “Captain For Dark Mornings” e il suo rispecchio più cupo “Captain Saint Lucifer”, entrambe narranti di una relazione con un uomo misterioso e riempite da una sezione di corni e flauti che costituiscono la parte più enfatica del brano, salvo poi arricciarsi di nuovo sul pianoforte solitario della Nyro. La title track è una riverente dichiarazione d’amore alla città di New York, estrapolata fuori dalle sue subway stations, dagli attici dei grandi grattacieli, dal subconscio della metropoli stessa:

You look like a city
but you feel like a religion
to me

Laura Nyro si ritirerà dalle scene all’età di 24 anni, nel 1971, per poi ritornare qualche anno dopo con l’album “Smile” (1976). Riuscirà a pubblicare in vita “Mother’s Spiritual” (1984) e “Walk The Dog And Light The Light” (1993), prima di morire a soli 49 anni per lo stesso cancro che aveva già spento la madre. “New York Tendaberry” resta il pezzo più indecifrabile di una grande trilogia nel cantautorato americano, che comprende lo splendido “Eli and the Thirteenth Confession” (1968) e il, potremmo dire oggi con il senno di poi, profetico esordio “More Than a New Discovery” (1966). Con la sua vocazione intimista e le sue armonie sospese, “Tendaberry” è unico nel suo genere: New York fra le labbra di Laura Nyro ha il sapore non di un’acerba mela ma di una succulentissima bacca.

(Viviana D’Alessandro)

Foto in evidenza di Joel Bernstein, 1969