Il meglio del cinema nel 2020: gli Special Awards di Samuele Conficoni

Il 2020 ha cambiato forse definitivamente il modo di esperire il cinema – i servizi streaming sempre più ingombranti, abbonamenti per film “a distanza”, nuove piattaforme di noleggio o download – e per grossa parte dell’anno le sale cinematografiche – non sono in Italia – sono rimaste chiuse. La pandemia ha reso il 2020 un’annata particolarmente complessa sia per chi lavora nel settore cinema sia per gli spettatori. Ciascuno a proprio modo ha iniziato un’evoluzione che pare non essersi ancora conclusa – che forse, in realtà, è soltanto cominciata. Questi sono i quindici titoli che più mi hanno colpito in mezzo alla distopia in cui siamo precipitati.

15) Beyoncé – Black Is King

Dell’affascinante Black Is King, compendio visuale dell’album The Lion King: The Gift, uscito lo scorso anno, Beyoncé è regista, scrittrice e produttore esecutivo. Filmato in tre diversi continenti, è un completamento perfetto della musica presente nel disco e una celebrazione dell’identità culturale black e dell’orgoglio di essere neri, una sorta di rivisitazione musicale e visuale del “To Be Young, Gifted and Black” che Nina Simone cantava più di cinquant’anni fa. Occupandosi della necessità da parte della comunità africana della diaspora di conoscere la propria identità per potersi liberare dalle oppressioni, Black Is King finisce per essere quasi un trattato filosofico che tocca le più disparate e cruciali questioni dell’universo black, a tal punto che qualche accademico ha persino rintracciato nell’opera molti legami con l’afrofuturismo.

14) Pete Docter – Soul

L’ultimo film Pixar, Soul, diretto da Pete Docter, è l’ennesimo viaggio geniale ed eccentrico nell’anima degli spettatori. Di nuovo la ricerca interiore, come già in Inside Out, Wall-E e altri meravigliosi film dello studio, è al centro dell’opera, e il mondo in cui “sopravvive” il protagonista Joe Gardner, che nell’originale ha la voce di Jamie Foxx, è quello della musica, e in particolare del jazz. La New York City dei locali fumosi dove si tengono le migliori performance dal vivo è quello che Gardner sogna di frequentare prima di finire catapultato in un altro universo dove le anime si preparano a essere infuse delle qualità che le caratterizzeranno sulla terra. Qui fa conoscenza di 22, che non sembra affatto interessata all’idea di finire tra i vivi. Joe proverà a farle cambiare idea e a capire qualcosa di più su se stesso. Il suo viaggio di formazione è appena iniziato. Tra le tante, intriganti curiosità del film, la voce dell’amico batterista di Joe è quella di Questlove.

13) Amanda McBaine + Jesse Moss – Boys State

Boys State, documentario diretto da Amanda McBaine e Jesse Moss premiato al Sundance, segue un gruppo di ragazzi texani iscritti al Boys State di Austin impegnati a mettere alla prova le loro capacità: devono fingere di costruire un governo indipendente da quello del Texas. Si tratta di una storia esaltante e straniante, che nasce in seno a uno di quei campus, i Boys (o Girls) State, nei quali si studiano i meccanismi della politica americana. Distribuito da Apple, è un ritratto disturbante e vibrante delle divisioni politiche che vi sono all’interno della società americana e, in particolare, nelle nuove generazioni. I registi si concentrano su alcuni personaggi – il conservatore bigotto, il progressista che ha iniziato ad appassionarsi alla politica grazie a Bernie Sanders – che rappresentano perfettamente le forti divergenze che si manifestano all’interno del campus. Boys State è un ritratto perfetto del pesante clima politico americano che di tanto in tanto riesce, però, a dar vita anche a qualche speranza.

12) Thomas Kail – Hamilton

La versione filmata del pluripremiato musical Hamilton di Lin-Manuel Miranda, registrata quattro anni fa in tre diverse serate al Richard Rodgers Theatre di Midtown Manhattan, è stata distribuita nell’estate 2020 da Disney+. La regia di Thomas Kail è una mano silenziosa che segue le sensazionali interpretazioni del cast, un occhio vigile e attento che non giudica e celebra la brillantezza musicale e attoriale che contraddistingue l’opera. Ci sono tantissimi momenti trionfali tra i recitativi e le convincenti performance vocali – alcune cantate, altre rappate – degli attori. Kail riesce a trasmettere con maestria ed esperienza ciò che si deve essere provato a teatro, in mezzo a un’energia contagiosa e a una commistione magistrale di musiche, sceneggiatura e costumi. Diviso in due atti, Hamilton è un’opera straordinaria che narra la vita e la carriera di Alexander Hamilton, immigrato dai Caraibi negli USA che, attraverso un cursus honorum scintillante, arriva a ricoprire la carica di Segretario del Tesoro degli USA per George Washington tra soddisfazioni e ostacoli. In Hamilton assistiamo a un sincero tributo del cinema al teatro d’autore in un anno che ha visto entrambi i mondi soffrire.

11) Andrew Patterson – The Vast of Night

Il film di debutto di Andrew Patterson, al quale ha iniziato a lavorare diversi anni fa, è sceneggiato dal regista stesso ed è stato distribuito via Amazon. Si tratta di una scommessa vinta: dopo essere stato rifiutato da 18 festival, è stato infine accettato e si è aggiudicato un premio allo Slamdance Film Festival, rivolto ad autori emergenti. Ambientato negli Anni Cinquanta in New Mexico, è una strana e sinistra opera fantascientifica e thriller che vede come protagonisti una centralinista, un disc-jokey e una strana frequenza radio che pare essere di natura extraterrestre. Liberamente ispirato ai tanti misteri alieni che nel corso dei decenni sono stati raccontati e documentati, l’opera ha l’enorme merito di ricreare con perizia e passione l’atmosfera degli USA dei ‘50s e l’inquietudine che la materia necessita. Una fotografia polverosa avvolge il thriller dall’inizio alla fine. Si tratta di un film ingegnoso e ambizioso la cui forza sta prevalentemente in ciò che indica e suggerisce piuttosto che in ciò che mostra. La verità è appena dietro alle cose, sembra dirci il regista, ma non è mai raggiungibile.

10) James LeBrecht + Nicole Newnham – Crip Camp: A Disability Revolution

Il toccante Crip Camp: A Disability Revolution è un film che non intende muovere a compassione chi guarda ma vuole invitarlo a lottare per chi non ha abbastanza voce in capitolo. Girato da James LeBrecht, costretto su una sedia a rotelle, e Nicole Newnham, è stato distribuito da Neftlix e ha come produttori esecutivi i coniugi Obama. Ispirato, emozionante e rilevante, il film, che muove i suoi passi dal 1971, si concentra sulla colonia estiva newyorchese Camp Jened, pensata appositamente per ragazzi con disabilità. I partecipanti al progetto diventano attivisti e avrebbero cambiato il mondo attraverso una serie di proteste al fine di ottenere una legislazione che li tutelasse e permettesse loro una maggiore accessibilità a occupazioni e strutture. Si tratta di un documentario potente e incisivo, che ci parla con la stessa voce rivoluzionaria con la quale ci parlavano quel centro estivo nel 1971 e il successivo movimento di protesta. Alcuni dei momenti più emozionanti e di maggior resilienza sono costruiti intorno a una selezione musicale tutt’altro che scontata, composta, ad esempio, dalla poetica “Tomorrow Is a Long Time” di Bob Dylan e dalla sognante “Sugar Mountain” di Neil Young, che arricchiscono – anzi, aiutano a creare – due dei passaggi più convincenti del film.

9) Kirsten Johnson – Dick Johnson Is Dead

Avete paura della morte vostra o di quella di un vostro caro? L’unico modo per provare a sconfiggerla è guardare Dick Johnson Is Dead, gustoso docu-film di Kirsten Johnson, nel quale la regista commemora il padre che è tuttora in vita. Riflettendo sul fatto che suo padre, una delle persone più significative per lei, si stia avvicinando alla morte, la regista ha discusso col diretto interessato della possibilità di filmarlo e seguirlo in ogni suo passo e in ogni suo cambiamento, immortalando ogni indecisione o paura causate dall’età. L’unico modo per affrontare a viso aperto la morte è esorcizzarla nei modi più assurdi e diretti, che il film rappresenta magistralmente. Si affrontano il tema della caducità della vita con un piglio e un andamento vivaci e sinceri. Il black humor è costante e spassoso ed è accompagnato da riflessioni profonde e drammatiche: la memoria di Johnson che inizia ad andarsene, gli amici e i parenti che ricordano il (futuro) defunto con discorsi accorati, la regista che immagina come il padre verrà accolto ai cancelli del Paradiso.

8) Eliza Hittman – Never Rarely Sometimes Always

L’eccezionale Never Rarely Sometimes Always è un drammatico tuffo nel dolore della giovanissima Autumn, che a 17 anni si vede costretta ad abortire, e del suo viaggio, insieme a sua cugina e senza che i genitori lo sappiano, dalla Pennsylvania a New York al fine di eseguire l’aborto. Una fotografia fredda, da crepuscolo mattutino, sottolinea la disperazione tragica e angosciante che contraddistingue i personaggi che popolano l’opera. L’attrice protagonista è al suo esordio assoluto e offre una performance magistrale. A impreziosire il tutto è anche la presenza della cantautrice Sharon Van Etten nei panni della madre. La lunga sequenza che dà il titolo al film, nella quale la dottoressa pone ad Autumn diverse domande personali che presuppongono come risposta una delle quattro parole, è di una potenza incredibile.

7) Alexander Nanau – Colectiv

Atroce, inquietante, persino nauseante, Colectiv, documentario girato, scritto e prodotto da Alexander Nanau, ripercorre uno scandalo sanitario che ha colpito la Romania solo qualche anno fa. Un insieme di giornalisti investigativi scopre una frode relativa a disinfettanti fortemente diluiti che hanno causato morti per infezioni nel reparto ustionati di un ospedale. L’opera sembra quasi un film thriller tanto la faccenda è grave e intricata. Celebrato al Festival di Venezia del 2019, Colectiv racconta di come quel coraggioso gruppo di giornalisti sia riuscito a scoprire la corruzione e la cattiva amministrazione che avevano portato alla tragedia e di come sia dura e selvaggia la lotta contro il mondo politico e quello delle industrie di medicinali. Colectiv è un violento grido di speranza e di lotta in mezzo a un buio totale che, tuttavia, non sembra risolversi né con l’indagine né con le elezioni.

6) George C. Wolfe – Ma Rainey’s Black Bottom

Ispirato all’omonima pièce teatrale di August Wilson, il nuovo film di George C. Wolfe, uscito per Netflix e ambientato in uno studio di registrazione di Chicago nel 1927, è un fantastico tributo a una delle regine del blues, Ma Rainey, ed è ispirato alla sua vita turbolenta e alla sua arte grandiosa. Esplora tematiche fondamentali come il controllo della creazione artistica, lo sfruttamento degli artisti per mano dei discografici e il violento razzismo a cui la comunità nera è costantemente sottoposta. Si tratta dell’ultimo film con Chadwick Boseman, che interpreta Levee, un personaggio dall’esistenza tormentata e intrinsecamente tragica. La madre del blues Ma Rainey è interpretata dalla sublime Viola Davis, che sfodera una performance convincente e brillante. Il film è percorso da interpretazioni volutamente sopra le righe che scaldano l’ambiente e celebrano il mondo del teatro da cui la pièce proviene. Si tratta di prestazioni trascinanti e fisiche, che sembrano immaginare la presenza di un pubblico di fronte agli attori.

5) Spike Lee – David Byrne’s American Utopia

Tra i due ottimi film che Spike Lee ha distribuito in questo 2020 la scelta è ricaduta non sul bellissimo Da 5 Bloods ma su David Byrne’s American Utopia, uscito su HBO, versione filmica di uno spettacolo di David Byrne tenutosi a Broadway, parte del suo tour mondiale a supporto del disco American Utopia, risalente al 2018. La scaletta dello show è una rivisitazione del fil rouge che attraversa il medesimo disco ed è percorsa, ovviamente, da tantissimi pezzi del repertorio dei Talking Heads e della sua carriera da solista o accanto a Brian Eno. Memorabili esecuzioni di alcuni classici (“I Zimbra”, “Once in a Lifetime”, “Burning Down the House”), la cover del brano di protesta di Janelle Monáe “Hell You Talmbout” e una coreografia straordinaria, con tutti gli undici musicisti oltre a Byrne che si esibiscono con strumenti senza filo, rendono l’evento particolarmente memorabile. Lee si tiene a distanza quel tanto che basta per lasciare a Byrne la scena pur non rinunciando alla potenza che la mano del regista deve sempre mostrare. Lo show di Byrne pare un rituale ancestrale e liberatorio, una lotta alla solitudine tragica che ha caratterizzato il 2020 di tutti.

4) Frederick Wiseman – City Hall

Con City Hall, Frederick Wiseman volge lo sguardo alla sua città natale, Boston, e in 272’ celebra la sua organizzazione amministrativa in un tributo caldo ed emozionante. La classica e abbacinante narrazione wisemaniana interseca, come al solito, tematiche quali minoranze etniche, alloggi pubblici, giustizia, cambiamento climatico. Solo una mano così sensibile e precisa come quella di Wiseman potrebbe raccontare temi tanto cruciali e all’ordine del giorno senza alcun tipo di semplificazione o banalizzazione e senza che nessuno dei 272’ risulti in nessun modo pesante o di troppo. È, a suo modo, anche un film anti-Trump, presentato a Venezia 2020 mentre il consenso di Trump stava iniziando a crollare. Come già aveva fatto con Ex Libris, il suo capolavoro del 2017 dedicato alla New York Public Library, Wiseman sembra suggerirci che è attraverso la filantropia, la cultura e l’assistenza ai più deboli che si realizza il vero vivere democratico e, in ultimo, la vera essenza dell’essere umano.

3) Garrett Bradley – Time

La durezza e la dolcezza che Time trasmette sono di una potenza rara. La regista Garrett Bradley segue l’attivista, abolizionista e madre di sei figli Fox Rich mentre combatte per cercare di far rilasciare il marito, condannato a 60 anni di carcere per una rapina in banca. Anche lei, per il ruolo che ha rivestito nel medesimo crimine, ha trascorso diversi anni in galera. Il film è un dipanarsi frenetico e senza sosta di parti girate appositamente per il documentario e di flashback home video di lei, di suo marito e dei loro figli. È una preghiera incoraggiante e sincera che ti assorbe dall’inizio alla fine in un bianco e nero equilibrato e struggente, che ti avvolge nella sua tiepida malinconia. Con una lucidità disarmante, il film riflette sul mondo delle carceri statunitensi, un sistema di prigionia complesso e spesso molto ingiusto. Nel suo approccio niente affatto paternalistico, Time è intelligente e impegnativo e ti sfida a provare a distruggere il luogo comune per cui il carcere renda il mondo un posto più sicuro.

2) Kelly Reichardt – First Cow

Raffinato, originale e profondo, First Cow di Kelly Reichardt, tratto dal romanzo The Half Life di Jonathan Raymond, è una storia avventurosa, intrigante, piena di colpi di scena, spassosa ed energica. I due protagonisti, un cuoco e un immigrato cinese (John Mariago e Orion Lee), offrono due performance sublimi, e lo stesso vale per il Chief Factor, interpretato da Toby Jones. Reichardt si concentra sul rapporto che intercorre tra i due e sul piano geniale che insieme architettano. Spesso è il montaggio a sottolineare passaggi particolarmente cruciali. È un western atipico e ambizioso, a tratti oscuro e a tratti spiritoso. Come ha scritto il New York Times nella sua recensione, dietro ogni grande successo sta un grande crimine. Non si potrebbe sintetizzare meglio il succo di questa straordinaria pellicola, un buddy film che smonta e rimonta ogni stereotipo, lo aggredisce e lo getta il più lontano possibile; nel punto dove genialità e inganno si incontrano e si alleano, è lì che vive First Cow, uno dei migliori momenti cinematografici di questo 2020.

1) Steve McQueen – Lovers Rock (from the Small Axe Anthology)

È difficile selezionare un solo film della splendida serie antologica di cinque pellicole Small Axe, l’ultima, esaltante fatica del regista britannico Steve McQueen, distribuita in UK dalla BBC, in USA da Prime Video, che celebra e omaggia la comunità caraibica londinese tra gli Anni Sessanta e Ottanta. In particolare è difficile scegliere tra il primo film della serie, Mangrove, e il secondo, Lovers Rock. La scelta ricade sul secondo perché è il più originale e il più ambizioso dei due. Mangrove, ambientato nel 1968, nelle sue due ore abbondanti, conquista e affascina per la rilevanza storica che riveste, per il grido rivoluzionario che attualizza e veicola e per la schiettezza e la brutalità con le quali riesce a unire lotta e cultura, ribadendo che non può esistere la prima senza la seconda. Potrebbe tranquillamente occupare lui il primo posto. Anche il resto della serie mantiene un livello alto: se il quarto film, Alex Wheatle, è evidentemente il lavoro più debole, Red, White and Blue, con un grande John Boyega, è energico, avvincente e, come al solito, girato splendidamente, ed Education, l’ultimo dei cinque, è un affresco dolcissimo e triste al medesimo tempo nel quale McQueen sembra letteralmente calarsi nell’animo del giovanissimo protagonista.

È Lovers Rock, però, il film della serie che fa gridare al capolavoro. La musica – il reggae, soprattutto –, che in tutta Small Axe è fondamentale, in Lovers Rock è particolarmente centrale, dal momento che il film è ambientato a un party casalingo a Londra a inizio Anni Ottanta. La musica è correlativo oggettivo dei sentimenti e delle speranze delle giovani protagoniste che, ingenui e felici, vogliono innamorarsi. Percorso dalla vivida performance attoriale di Amarah-Jae St. Aubyn, al suo primo ruolo in assoluto, nei suoi 68’ Lovers Rock riesce a portare in un’altra dimensione. Ci dimentichiamo di essere seduti sul divano di casa e veniamo trasportati nel party. La memorabile sequenza di oltre nove minuti sulle note di “Silly Games” di Janet Kay, prima suonata dal DJ della festa e poi interpretata, a cappella, dai ragazzi, evidenzia il valore liberatorio e paradisiaco che la musica riveste per l’universo black. Ci sarà tempo per flirt, minacce e tentativi di stupro. Per un viaggio in due in bici ai bagliori dell’alba, per un bacio rubato in una vecchia officina, per un letto fatto e disfatto in meno di un istante senza aver dormito un minuto. Ti riempie il cuore, alla fine, la frase con cui si chiude: «For all lovers and rockers».