Bonetti, una top7 per presentare “Qui”

“QUI” di Bonetti è uscito a fine ottobre er Bravo Dischi e Labellascheggia.
Un lavoro che mette nuovamente in mostra la poetica immediata, gentile, sognante e assolutamente personale del songwriter milanese.
Bonetti ci consegna la prova della sua costante crescita, e la colora di tinte a volte calde, a volte fredde, ma tutte sapientemente dipinte, grazie anche alla tavolozza messa a disposizione da Fabio Grande, co-produttore artistico delle opere.
Ad impreziosire ulteriormente il disco, in copertina una foto inedita di Luigi Ghirri rilasciata da ©Eredi di Luigi Ghirri.

1_ Damon Albarn: “Hostiles”
Sono passati ormai più di sei anni dalla pubblicazione di “Everyday Robots” di Damon Albarn, eppure è un disco che continuo ad ascoltare come se fosse appena uscito. Non smette di essere uno scrigno di sorprese. Il suo complesso minimalismo che spinge ad andare sempre più in profondità è qualcosa di molto raro che fa sì che le canzoni entrino un passo alla volta nella vita di chi le ascolta, creando un rapporto unico. Insomma, io torno regolarmente a quel disco come torno a chiamare un amico che non vedo da un po’ e che ho bisogno di sentire. “Hostiles” era lì a guardarci da lontano in studio mentre ragionavamo sull’arrangiamento di “Carnevale”.

2. Angelo Badalamenti, “Twin Peaks Theme”.
Tempo fa mi sono imbattuto in un video su YouTube in cui il Maestro Badalamenti spiegava, seduto al suo piano, come ha composto la colonna sonora di “Twin Peaks”. Quel video mi ha folgorato. Era il periodo in cui iniziavo a lavorare sulle prime bozze di quelle che sarebbero diventate le canzoni di “QUI” e ogni mattina a colazione me lo riguardavo con ossequiosa curiosità. Mi ha dato la scossa per provare ad approfondire i ragionamenti sulle parti musicali, sviluppando in primis le armonie con la tastiera.

3. David Bowie, “Blackstar”

Ancora oggi non so come avvicinarmi all’ultimo album di Bowie. Io sono uno che compra i dischi, ma questo non ce l’ho. Forse perché non voglio accettare l’idea che quando lo farò sarà l’ultima volta in vita mia in cui entrerò in un negozio ad aquistare un album di Bowie che non ho. Con le dovute proporzioni, questo brano è stato forse la chiave di volta che mi ha spinto ad allontarmi dalla struttura classica pop strofa-ritornello. Tutti i ragionamenti sulle evoluzioni delle varie parti dei brani sono nati qui. Poi “Blackstar” ha portato per la prima volta i fiati in un mio disco.
4_ Macintosh Plus, “ブート”
Le serate all’Ohibò, la scoperta della Vaporwave, la nostalgia per gli anni Ottanta che non ho mai vissuto ma dei quali mi sono sempre sentito parte. “Floral Shoppe”, l’album di Macintosh Plus, mi ha aperto decine di porte sia sul passato che sul mio futuro. E ho ritrovato la sua influenza nella scrittura di “Non ci conosciamo più”.

5_ D’Angelo and The Vanguard, “Ain’t That Easy”

Ci sono quei giganti che possiamo solo guardare dal nostro basso e che ogni volta che ci regalano qualcosa di loro, che sia un album, un film o un romanzo, ci rendono la vita migliore. Delle luminose divinità pop che arrivano da un altro pianeta e ci indicano la via. La sua influenza nel mio disco sta in questo: provare ad andare oltre i miei limiti, consapevole del fatto che fare dischi non è una cosa scontata, ma una benedizione che va onorata guardando a chi ci sta sopra nella Musica con la “M” maiuscola e non a chi ci sta intorno nel mercato (con la “m” minuscola) discografico.

6. J Dilla: “Sunbeams”

In cuffietta sempre, per le vie di Milano. E poi a casa a suonare. E poi di nuovo in cuffietta e così via. Ovviamente non c’è un punto del mio disco in cui posso dire di riconoscere con esatta precisione l’influenza di J Dilla, però esiste, ne sono sicuro. O forse mi illudo che ci sia. Comunque l’ho ascoltato così tanto mentre scrivevo “QUI” (sempre sia lodato Fabio Grande che me l’ha fatto conoscere) che non posso non citarlo in questo elenco.

7. Lucio Dalla – Roberto Roversi: “Alla fermata del tram”

“Il giorno aveva cinque teste”, il primo album figlio della collaborazione di Dalla e Roversi è del 1973. Cioè, ha quasi cinquant’anni. Poi sappiamo come sono andate le cose. In un’intervista sull’esperienza di quel sodalizio Dalla ha dichiarato: “«Da lui (Roversi) ho imparato tutto, a scrivere da solo le mie parole, ma sopra ogni altra cosa l’emozione pura. Ogni volta che scrivo qualcosa vado da lui e mi basta il fuoco o la noia che leggo nei suoi occhi per capire se ho fatto bene o male”. Ecco, io nel mio piccolo ho cercato di scrivere ogni cosa pensando al fuoco e alla noia.