JOSEPHINE FOSTER, “No Harm Done” (Fire Records, 2020)

“Faithful Fairy Harmony” del 2018 ha rappresentato forse il punto più alto nella carriera dell’americana Josephine Foster. Doppio disco, 18 canzoni che erano punto di arrivo ma anche riassunto di tutte le puntate precedenti. Ma non solo. Quel disco toccava vette altissime di “spiritualità”, difficile e al tempo stesso impossibili da replicare. Ci sarebbe voluto, che ne so, una pandemia, per poter vedere la Foster suonare nuovamente dentro una stanza senza pareti.

Immaginate la sfiga. Succede, è successo davvero.

Noi comuni mortali a fare la pasta, la ragazza del Colorado a mischiare il folk con il jazz.

Noi increduli nel sentire le sirene, lei incredula di esserlo, di nuovo.

Un disco, questo “No Harm Done” (tredicesimo, contando le collaborazioni in 19 anni) ancora a fuoco e come al solito, fuori dal tempo.

Country celeste, acustica da figli dei fiori credenti in un messaggio divino, gospel da camera ma, come dicevo prima, senza le mura.

Emozioni come al solito lasciate fruire tramite una voce inconfondibile, un soprano free che non ha paura di essere sé stessa, di cantare soave di amore “Love Letter” (“I can read you like a book. Did you get what you desired in the furnace of love’s fre?”), spiritualità “Old Saw” (“Holy Spirit Holy Spirit I would like to talk to You, bowed mirror of my Soul”) e vita “The Wheel of Fortune” (“No harm will come if there’s no harm done. Time to spin the wheel, the wheel of Fortune).

Un canto, non del cigno, destinato a durare nel tempo.

75/100

(Nicola Guerra)