[#tbt] (Mother Earth’s) Plantasia: una sinfonia elettronica da giardino

Plantasia, l'utopia botanica di Mort Garson | Il giornale della musica

Cosa hanno in comune le piante e un materasso dove stendersi ad ascoltare comodamente una rilassante suite elettronica di mezz’ora? Il “(Mother Earth’s) Plantasia”, l’album che Mort Garson nel ‘76 ha affidato alle cure del Mother Plant Botique, un negozio di Los Angels, per distribuirlo alla vendita insieme a un opuscolo botanico scritto dai suoi due proprietari, Joel e Lynn Rapp, autori, oltre che di libri sulla flora, di alcune sitcom hollywoodiane. Se non potevi recarti nel negozio sulla Melrose avenue c’era solo un’altra possibilità per avere il disco tra le mani: acquistare un materasso della ditta Simon Mattres from Sears e ricevere in omaggio una copia. Questa l’incredibile vicenda di una piccola opera bizzarra, a metà tra un compendio di botanica e la sperimentazione musicale pioneristica dei primi Moog.

Il seguito della storia vuole che (Mother Earth’s) Plantasia abbia continuato a sedimentare per lungo tempo in quello stesso bosco che intendeva descrivere. Finché Caleb Braaten, proprietario della Sacred Bones Record, ha finito per riscoprirlo casualmente in un negozio di dischi usati a Denver, pubblicando nel 2019, finalmente, una ristampa in vinile con tanto di riproduzione dell’opuscolo e disco di colore verde.  Quando l’album venne ideato dal suo creatore, alla metà degli anni ’70, la coscienza ecologica e ambientalista era un’esigenza urgente; una sensibilità nata su stimoli new age e affaccendata a trovare una comunicazione con il mondo vegetale e tasselli di vita emotiva dentro a queste fragili forme di esistenza. Tre anni prima, nel 1973 Peter Tompkins e Christopher Bird, avevano pubblicato “Secret Life of Plants”, un saggio che riscosse grande successo, in cui affermavano, affidandosi a teorie pioniere anch’esse in ambito scientifico, che le piante amano la musica. Su queste sollecitazioni Mort Garson prese così di nuovo possesso del Moog che Paul Beaver gli aveva fatto conoscere anni prima, per comporre una “musica per le piante e per le persone che le amano” per aiutarle a crescere, l’equivalente botanico di quello che nel ’64 aveva fatto un altro manipolatore di synth, Raymond Scott, con “Soothing Sound for Baby”, componendo, quella volta, canzoni per fare addormentare i bambini.

Ma entriamo nel disco e attraversiamo una natura luminosa abitata da Begonie, Violette Africane e Felci. La title track del lato A dopo il tono rilassante dell’esordio si fa strada con marcia trionfante dentro uno splendido giardino in cui la prima specie che troviamo è una pianta erbacea, il Colorofito, definita dagli americani Spider Plant per la sua forma, a cui Mort Garson dedica niente meno che una sinfonia. “Baby Tear’s blues” è rivolta alla Soleirolia, tappezzante della famiglia delle ortiche usato per coprire il terreno, corredato dal tappeto dell’enorme sintetizzatore modulare che la avvolge con un andamento ritmico sornione. L’ode alla Violetta Africana richiama lo stesso contrappunto esotico del titolo e esotiche sono le piante tropicali evocate nella traccia “Concert for Philodendron e Photos”. Il lato B si apre con “Rhapsody in Green” e il suo vortice synth, adatto a una meditazione in mezzo agli alberi, mentre il brano più movimentato del disco, “ Swingin Spathiphyllums” è per una pianta erbacea con fiori bianchi simile alla Calla, lo Spatifillo; alla bellissima e vistosa Begonia è rivolta la giocosa e fanciullesca “You Don’t have to walk a Begonia”, mentre con sonorità più oscure e quasi rock ci spostiamo  sulla Felce, pianta che cresce ovunque e in particolare vicino alle cascate. La traccia finale “Music to soothe to the save snake plant” arriva dalle parti dell’Africa e tra tenebrose passeggiate al chiaroscuro tra arbusti, le Dracene, si apre una malinconica melodia che chiude l’album con note lounge di meraviglia e di mistero.

In un arco temporale decennale, dalla metà degli anni ’60 ai ‘70, Mort Garson si dedica senza tregua e con vie e risultati disparati alla sperimentazione del Moog, realizzando anche album sotto vari pseudonimi, come Lucifer, e dedicando un ciclo di dischi ai segni dello zodiaco (“The Zodiac: Cosmic Sounds”). Nel ’69 si occupa di comporre delle musiche per la missione Apollo 11 mandate in onda su trasmissioni televisive durante lo sbarco sulla luna. Ricorda la figlia: “Quando mio padre ha trovato il sintetizzatore, si è reso conto che non voleva più fare musica pop”. Garson era però un ottimo pianista e arrangiatore e in precedenza si è dedicato alla musica popolare (Con i Ruby & The Romantics partecipò al brano “Our Day will Come”, riproposto da James Brown e Amy Winehouse), collaborando con Cliff Richards e in un album di Santo e Johnny (“Off Shore”, del 1963). Garson è morto nel 2008 e sul suo epitaffio ha fatto scrivere “Lascia che la musica continui”.

Le ricerche sull’apparato nervoso delle piante e sulle relazioni tra la musica e il mondo vegetale sono proseguite anche grazie agli studi di Stefano Mancuso, neuro botanico che a Firenze ha creato un Giardino Musicale, facendo così rivivere, in modo diverso, i sogni di Garson e le utopie scientifiche di Peter Tompkins e Christopher Bird. Secondo quello stesso principio che il jazzista statunitense Albert Ayler nel titolo di un suo brano diceva: “Music is the healing force of the universe”. La musica cioè è la forza creativa dell’universo.

(Eulalia Cambria)