Kamasi Washington, Perugia, Umbria Jazz Festival, 19 luglio 2019

Anche i luoghi, come gli esseri umani, attraversano dei momenti cruciali che possono cambiare per sempre il corso della loro storia. È ciò che è accaduto all’Arena Santa Giuliana a Perugia, una delle location più suggestive dell’Umbria Jazz Festival, il 15 luglio del 2011. Il concerto di Prince che si tenne in quella nubesca notte d’estate, unica tappa italiana del “Welcom 2 America Tour”, continua ancora oggi a rivivere sulla pelle, negli sguardi e nelle parole del pubblico di allora: 3 ore e mezza di performance totale, con luci, colori, abiti e decorazioni spaziali, ma soprattutto con le canzoni, perfette sintesi tra r&b, soul e funk costituenti il repertorio leggendario dell’artista che meglio di chiunque altro è riuscito a incarnare e allo stesso tempo reinventare la “Great Black Music” dalla seconda metà del secolo scorso in poi. Uno spettacolo nello spettacolo, in una notte incredibile che trasuda ancora oggi dal manto erboso dell’Arena Santa Giuliana, ammantandola di quell’atmosfera di magia e sospensione che caratterizza tutti i luoghi che sono entrati per qualche ragione nella Storia. C’è un filo nascosto che lega quel concerto di Prince del 15 luglio 2011 a quello di Kamasi Washington che si è tenuto nello stesso luogo e Festival esattamente 8 anni e 4 giorni dopo: è questione di quella coralità d’ascolto, visceralità della musica e condivisione d’emozioni ai limiti della spiritualità che solo la Black music riesce a evocare. E Kamasi Washington e i suoi “Next Step” sono allo stato attuale fra gli esponenti più influenti della Black music a livello planetario.
Che si sarebbe trattato di un concerto storico lo si era capito già dai giorni precedenti, in cui Kamasi Washington è stato visto aggirarsi di continuo fra il pubblico e le strade di Perugia, come a voler respirare a pieni polmoni l’atmosfera del Festival jazzistico più vivo d’Europa. Il culmine è avvenuto nella notte prima del concerto, quando Kamasi si è immerso in una jam-session del tutto improvvisata al jazz club Méliès di via della Viola, e insieme a Daniele Scannapieco, Piero Odorici, Benny Green, Tony Austin e David Wong, ha regalato al pubblico una versione stellare di “Caravan” di Duke Ellington.

Il concerto all’Arena inizia con una raffica di piatti della batteria e il giro di contrabbasso effettato di Mike Mosley che fa da metronomo al crescendo sincopato in stile bepop di “Street Fighter Mas”, una sorta di colonna sonora per videogame resa straniante dalle vocalizzazioni celestiali dell’onnipresente Patrice Quinn, e dalle solite incursioni tempestose del sax di Kamasi, che dirige e fa dialogare gli altri strumenti musicali. Non c’è tempo per riprendersi che parte “The Rhythm changes”, eseguita in un inedito arrangiamento in stile freejazz in cui il cantato di Patrice emerge dai ritmi caraibici innescati da piano e batterie che ipnotizzano il pubblico prima di essere assorbiti dalle sfiatate saxofoniche di Kamasi.

Al termine della successiva “Abraham”, oltre 7 minuti di energia pura in cui Mosley dà la carica con un coro-refrain irresistibile e lo scorrere straripante del contrabbasso, Kamasi sente l’affiatamento del pubblico e lo esalta ancora di più con una frase illuminante e di grande attualità che potrebbe rappresentare l’essenza stessa della sua musica: “Diversity is not something to be tolerated, but something to be celebrated”. Musica che è innovativa non tanto dal punto di vista tecnico ma in quanto messaggio politico di universalità e fratellanza fra esseri umani e con la Terra e gli altri esseri viventi.

Seguono “Truth” e “Askhim” con le loro atmosfere mistiche che danno risalto a tutta la coesione orchestrale di cui Kamasi e i Next Step sono capaci. C’è anche tempo, nel mezzo di “Askhim”, per una drums battle incandescente che getta le basi per il finale di “Fists of Fury”, vero e proprio inno alla post-colonialità nera sottoforma di ballata epica alla Ennio Morricone con tanto di suggestioni tropicali: “Our time as victims is over / We will no longer ask for justice / Instead we will take our retribution”. È il canto di lotta e rivendicazione di Patrice, sommerso sul finire dal sax di Kamasi che si espande e rimane nella notte del jazz come fosse un elemento della Natura.

 

Setlist:
Street Fighter Mas
The Rhythm Changes
Abraham
Truth
Askim
Fists of Fury

 

(Emmanuel Di Tommaso)

 

Le immagini sono tratte dalla pagina Facebook dell’Umbria Jazz Festival, il video è stato realizzato dalla testata giornalistica Umbria24.