TOY, “Happy in the Hollow” (Tough Love, 2019)

Già “Clear Shot” (2016), terzo album dei TOY, segnava, seppur in minima parte, un punto di discontinuità nella discografia della band inglese: anche se le coordinate sonore post punk, kraut, shoegaze rimangono il centro nevralgico della scrittura delle canzoni del gruppo, la consueta struttura stratificata dei brani lascia sempre più spazio a nuove soluzioni compositive, quali un senso, più marcato, delle melodie pop e una visione musicale quasi “orchestrale”, da musica per il cinema nella ricerca e riproduzione dei suoni (sempre però con una strumentazione “rock”).
“Happy in the Hollow” (2019) porta avanti questo discorso di transizione, cambiamento, anche perché per la prima volta la formazione di Brighton non si affida a mani esterne autoproducendosi e registrando nello studio di Dan Carey, amico e produttore dell’esordio “TOY” (2012) e di “Join the Dots” (2013). Il metodo di registrazione e missaggio è, quindi, inevitabilmente diverso : avendo uno studio a completa disposizione, paragonato ad una “tela vuota” nel comunicato della band, aumenta il tempo per sperimentare e provare nuovi elementi sonori e stilistici. Questa forma mentis porta un approccio più riflessivo in fase di composizione : “non abbiamo aspettato di avere tutte le canzoni scritte per andare in studio. Questo ci ha permesso di riflettere e sperimentare di più intorno a qualche demo.”* E la componente su cui sembrano aver lavorato maggiormente è il suono delle chitarre : giocato sugli opposti – acustico ed elettrico – nei brani centrali e più significativi dal lavoro, “Last Warmth of the Day”, “The Willo”; “blues” in “You Make Me Forget Myself”, traccia ispirata dalla colonna sonora di “Paris, Texas” di Ry Cooder e che ruota intorno alla slide guitar di Dominic O’Dair; folk psichedelico nella strumentale “Charlie’s House”. Altro aspetto importante e rilevante nello sviluppo di una propria identità creativa è l’uso caldo dell’elettronica : la drum machine diventa una “macchina” da utilizzare per modificare l’anima e la struttura delle canzoni, come nel caso di “Energy”, nata come bozza sviluppata con una batteria elettronica e poi trasformata nella versione finale in un ritmo veloce, pulsante ma pur sempre umano di Charlie Salvidge. Contrasto tra suono umano (e non) anche in “Jolt Awake”, un incrocio tra le geometrie kraut (già care alla band e presenti in “Mechanism”) e umori industrial.
Queste due anime – quella folk acustica e quella elettronica (tra l’umano e il non) – trovano il punto d’incontro ideale in “Mistake a Stranger”, brano lastricato di synth con, però, un’apertura acustica sul finale.
“Happy in the Hollow” è, quindi, in definitiva un lavoro che ci consegna un gruppo in divenire, tendente a nuovi orizzonti, alla ricerca di un “suono” il più vicino possibile alla propria personalità creativa e umana : dalla psichedelia filtrata da venature (dream)pop, kraut a equilibrismi vari tra riecheggiamenti (acid)folk e tocchi appassionati di elettronica.

*intervista Visual Music

75/100

(Monica Mazzoli)