[#tbt] Jay Bolotin: il lato più nascosto della Nashville folk anni 70


Jay Bolotin al Chelsea Hotel

Jay Bolotin è uno degli “eroi solitari” della raccolta “Wayfaring Strangers: Lonesome Heroes”, pubblicata dalla Numero Group ‎nel 2009: fa parte di quel gruppo di autori di folk americano anni settanta meritevoli ma caduti nell’oblio polveroso del tempo che passa e con all’attivo piccole e poche produzioni discografiche, per lo più private press.

Fatta eccezione per l’LP omonimo, datato 1970, della newyorkese Commonwealth United Records , non esistono in circolazione dischi a nome Jay Bolotin, che da songwriter è poi diventato visual artist, scultore e xilografo.
Nel 2018 la Delmore Recordings – etichetta di Nashville – ha, però, recuperato l’impossibile curando una compilation, “No One Seems to Notice That It’s Raining”, interamente dedicata a registrazioni demo, fino ad adesso inedite, di Bolotin.
Vengono, quindi, alla luce i brani, scritti tra il 1970 e il 1975, di un musicista dai testi poetici e dal fingerpicking chitarristico delicato e dolce. La musica e parole parlano per immagini perché Bolotin, anche quando non studia più scultura alla Rhode Island School of Design , continua a scolpire con la sua chitarra e i versi delle sue canzoni, ritratti di persone, sentimenti e paesaggi come la tristezza di Linda, la ragazza di “It’s Hard To Go Down Easy” o la natura e l’ipotetico dialogo tra un bambino e un adulto di “You may live “.

Pezzi, non tutti ma quasi, composti a Nashville, luogo d’adozione del Bolotin musicista folk: nell’autunno del 1971, dopo aver registrato un disco a New York e aver trascorso un periodo nel New England a modellare sculture e canzoni, la città del Tennessee – casa di alcuni dei dischi preferiti dell’artista – diventa il cuore e l’anima della musica di Bolotin e tutto, alla fine, finisce per ruotare attorno all’Exit/In, club di musica live e luogo di numerosi incontri, scambi e condivisione di canzoni.
Il “re del linguaggio figurato”, così veniva chiamato Bolotin, “le immagini dei suoi testi erano mozzafiato. Le persone che non lo capivano….lo odiavano.”, ricorda Owsley Manier, fondatore del locale “nashvilliano”.
E, infatti, molti non hanno compreso appieno la sua musica ma, nel corso degli anni, tutti i musicisti e alcuni produttori della scena folk/country l’hanno sempre ammirato e stimato: nella prima metà degli anni settanta (il periodo delle demo della raccolta) Norbert Putnam, bassista e produttore di Donovan, Eric Anderson, Joan Baez (e di tanti altri), l’ha messo sotto contratto editoriale pagandolo cinquanta dollari a settimana; nel 1977 David Allan Coe ha fatto un cover di “Canteen of Water” e nel 1985 Dan Fogelberg ha reinterpretato “It’s Hard To Go Down Easy” (altra demo di Bolotin). Senza considerare, poi, la sessione di registrazione del novembre 1974, fortemente voluta da Kris Kristofferson, allo studio di Chip Young a Murfreesboro che però finì in un nulla di fatto; o ancora, altre registrazioni del 1975 sotto la supervisione di Merle Haggard (che forse verranno pubblicate in futuro).
Una grande storia americana di un artista a 360 gradi: la poesia della narrazione per immagini, pur non trovando spazio nell’ambiente discografico, si ritaglia altri spazi vitali e creativi in quello della scultura e della xilografia. Il primo amore, però, non si dimentica mai: Bolotin ha sempre continuato a scrivere canzoni. E l’uscita di “No One Seems to Notice That It’s Raining” ci restituisce piccole gemme da riscoprire.


Jay Bolotin insieme ad Allen Ginsberg

(Monica Mazzoli)