TORO Y MOI, “Outer Peace” (Carpark Records, 2019)

In una recente intervista al New York Times, Devonté Hynes racconta di come il suo primo album a nome Blood Orange, sulle prime, fosse inteso dalla label (la Domino) come un progetto a latere del suo “marchio” di allora, Lightspeed Champion. Era il 2011 e Dev si chiese come fosse possibile anche solo pensare di essere il side project di se stesso. Ecco, il discorso su Toro y Moi può partire più o meno da qui, dalle sfaccettature di sé e della propria musica materializzati in una dozzina di tracce e un nome su una copertina. Chaz Bundick è anche Chaz Bear e poi è naturalmente Toro y Moi ma è pure Les Sins e poi è Sides Of Chaz ma è anche PLUM (15) ed è anche quello dell’album con i gemelli Matson. Ma anche restando nello “stretto” della produzione a nome Toro y Moi siamo al cospetto, non solo di una mole di musica considerevole (arbitrariamente io dico 11 album, “Freaking Out” compreso), ma anche di una netta differenziazione tra ogni episodio e il precedente.

E dopo l’intimista, sintetico e zuccherato “Boo Boo”, quale disco è “Outer Peace”? Bene, ha una struttura da mixtape, ha una sorniona sfrontatezza alla James Murphy (citato in “Laws Of The Universe”) e si posiziona nell’esatto confine tra il crinale disco e quello house. È un album che fin dai dichiarati intenti doveva essere ballabile e luminescente. Ma è vicino ad “Anything In Return”, allora? No di certo. È meno vellutato e più dritto al punto. Flirta solo marginalmente con il soul e l’hip hop. L’estroversione disco qui incontra l’approccio casalingo e artigianale degli esordi. Ma neanche il disco a nome Les Sins (“Michael”) può soddisfare minimamente la ricerca di un paragone perché non siamo su quel tipo di dancefloor. L’electro di “Fading” e il tocco quasi french di “Freelance” non potrebbero star bene in nessun lavoro di Bundick quanto qui dentro. Solo in questo recipiente fatto su misura che include “Baby Drive It Down”, cuore pop del disco.

Così come oggi una pubblicazione a nome Blood Orange non suscita l’equivoco da cui siam partiti (e non solo per l’abbandono di quell’altra denominazione), anche un disco di Toro y Moi, l’ennesimo nel mare delle sue produzioni, viene letto per quello che è davvero. Ossia una materia  verosimilmente coesa, definita e autonoma ma anche tessera di un mosaico grande come la musica e il mondo. La musica e il mondo che ha in testa Chaz Bundick.  Il suo pubblico ormai sembra saperlo e ad ogni release invece di chiedersi semplicemente come sarà si domanda quale album sarà. Ha abituato/educato il pubblico che lo segue attraverso una cura esemplare per ogni frammento che va a ricomporre davanti a occhi ammirati. Un disco dopo l’altro. Ogni volta fa il contenuto e poi fa anche la scatola. Gioca con i riferimenti, le etichette, i nomi e i registri e poi monta tutto in una confezione quasi perfetta. Sì, il bello di Toro y Moi è che tratta la musica come se fosse una roba sua.

83/100

(Marco Bachini)