LAY LLAMAS, “Thuban” (Rocket Recordings, 2018)

Essere italiani, di questi tempi, non sempre può essere delizia. La croce che ci piomba addosso viene da una becera visione populista che agli occhi del mondo ci fa apparire come un gregge impazzito che ha dimenticato gli sforzi dei nostri antenati; sforzi atti a rendere il nostro Paese un luogo che mescola(va) culture. Il dominio che diventa fonte di idee, di scambio, di globalizzazione (non capitalistica ma artistica). Proprio nell’arte, qualcuno prova a ribellarsi a questa visione ristretta e produce musica che abbraccia il mondo.

Lay Llamas, progetto musicale di Nicola Giunta è tutto questo ma anche qualcosa di più. È innanzitutto un disco generato nell’underground Italico che ultimamente sta regalando a noi ascoltatori grandissime soddisfazioni. Un sottosuolo che fa sempre più fatica ad emergere proprio per colpa di quelle persone che hanno trasformato il significato di “Arte” in “Farne Parte”. Un luogo, la musica, dove è più importante quello che si vede di quello che si sente; dove far parte di qualcosa è più importante della cosa stessa. Fortunatamente che chi dice no (e non è Vasco in questo caso).
“Thuban”, terzo lavoro a nome Lay Llamas, è la ribellione a tutto ciò che oggi abbruttisce il nostro paese; è il punto di rottura, la linea di confine tra l’ottusità di chi si ostina a non vedere e il mondo come dovrebbe essere. È un disco che prende la storia (musicale) partendo dalla Germania cosmica di fine 70 e arriva nell’Africa nera contaminata dall’elettronica passando per la new wave inglese che si rianima di colpo.

E L’Italia, direte voi, cari affezionati al concetto di nazione? C’è eccome. Ma non nella rima di cuore, non nel sussurrare la lingua di Dante, non nello strimpellare un mandolino.
L’italia è chiamare Mark Stewart a collaborare. Il Pop Group stava dalla parte degli oppressi e per proprietà transitiva Lay Llamas anche.
L’Italia è ascoltare gli U2 e scrivere un pezzo d’apertura come “Eye-Chest People’s Dance Ritual”.
L’italia è il guardare il sole in “Holy Worms” e vedere le stelle.
L’Italia è lasciare viaggiare il testo della propria amata fino in Svezia e farlo cantare da un combo mascherato (Goat) che ama la psichedelia primitiva.
Dicono che viviamo in posto bellissimo. Ci credo poco ultimamente, ma questi atti d’amore in musica mi fanno sempre ben sperare.

80/100