[Top 7] Il lato eclettico della Sub Pop: la fine del “Seattle Sound”

La Sub Pop, nata prima come fanzine (nel 1979) e poi etichetta discografica vera e propria (a partire dal settembre 1986), nei primissimi anni di vita, quasi involontariamente, crea una scena, formata da buona parte delle realtà underground di Seattle : dai Tad ai Soundgarden, dagli Swallow ai Mudhoney, dai Blood Circus ai Nirvana. E la lista potrebbe continuare, alcuni gruppi restano nel sottobosco della musica indipendente e altri si ritrovano catapultati nel mondo mainstream. Si parla di Seattle Sound, meglio noto come Grunge, anche se il termine lascia il tempo che trova : da una parte l’hard rock di matrice anni settanta venato talvolta da una psichedelia heavy di stampo anni sessanta (con uno sguardo, per intenderci, a gruppi come Blue Cheer) e dall’altra chitarre in chiave noise e distorte, come da ‘tradizione’ punk e post-hardcore.
Parallelamente e poi sempre più centralmente trovano spazio anche artisti fuori dagli schemi della linea discografica della label americana : se già sul finire degli anni ottanta, nel 1989, l’etichetta pubblica materiale come il secondo disco, dei Walkabouts – formazione folk rock sempre di Seattle (ovviamente) – e il primo singolo dei poi psichedelici The Flaming Lips, dal 1992 in poi, vuoi anche per i soldi entrati nelle case della Sub Pop dopo il successo di “Nevermind” (che segna il passaggio dei Nirvana alla major Geffen), escono dischi che con il Seattle Sound hanno poco a che spartire.
Nel 1995 Bruce Pavitt – che insieme a Jonathan Poneman ha fondato l’etichetta – raccontava a Spin questa svolta, “Molte persone che apprezzano i primi dischi potrebbero essere delusi dalla roba a cui stiamo lavorando adesso ma, sotto molti aspetti, siamo solo noi che diciamo,’non siamo i tipi monodimensionali che hanno diffuso il grunge rock’ “.
La nostra [Top 7] vuole andare a ripescare alcuni degli album “meno Sub Pop della Sub Pop” negli anni novanta (con una piccola concessione al nuovo millennio).

7. Combustible Edison , “I, Swinger” (1994)


Nei primi anni novanta comincia il recupero e la rivalutazione della produzione anni 50 e 60 easy listening, lounge ed exotica : l’opera di rivalorizzazione avviene – in parte – grazie alla produzione di ristampe o pubblicazione di compilation – “Space-Age Bachelor Pad Music” (1994) o “Merry Xmas From The Space-Age Bachelor Pad” (1996) dedicato dalla Bar None Records a Juan Garcia Esquivel ne sono un esempio – o a testi come Elevator Music: A Surreal History of Muzak, Easy Listening and Other Moodsong di Joseph Lanza e a libri, cd e cassette a nome Incredibly Strange Music – il primo volume esce nel gennaio 1993 – curate da V. Vale e Andrea Juno.
In questo contesto culturale si inserisce la musica dei Combustible Edison, che dà nuova vita e linfa alle atmosfere easy listening evitando i cliché della musica revival : The Millionaire (vero nome Michael Cudahy), frontman della band, ha sempre odiato la frase “retrò” preferendo definire il proprio gruppo come “easy listening”, una definizione che ha nessuno e mille significati e lascia piena libertà di movimento.
Nel giro di quattro anni, dal 1994 al 1998, la formazione di Providence (Rhode Island) ha via libera dalla Sub Pop e pubblica tre dischi “I, Swinger”, “Schizophonic” e “The Impossible World”.
L’album d’esordio – “I, Swinger” (1994) – è l’inizio di tutto : la ricreazione (nel senso di nuova creazione) e e rimodulazione sperimentale, divertita e contemporanea di vibrazioni lounge e mood space age pop.

6. Eric Matthews , “It’s Heavy in Here” (1995)


Dopo un album – nel 1994 – a nome Cardinal con Richard Davies e un singolo di successo (radiofonico) “Dream Figure”, il polistrumentista, arrangiatore (Elliott Smith, The Dandy Warhols) e autore di canzoni Eric Matthews riceve numerose proposte discografiche e registra l’album di debutto da solista, “It’s Heavy in Here” (1995), per la Sub Pop. Un piccolo gioiello di chamber pop e quanto di più lontano dall’estetica indie lo-fi : un disco curato e orchestrato nei minimi dettagli, dagli arrangiamenti alle melodie. Fuori dal tempo e dalle logiche mainstream e underground dell’epoca.
Matthews, oltre a scrivere tutte le canzoni, orchestra, dirige e suona parte della ampia strumentazione presente su disco. Un considerevole glielo dà Jason Falkner (Jellyfish, The Grays) che lavora sulle parti di chitarra, piano e basso.
Arriva poi un secondo ottimo lavoro, “The Lateness of the Hour” (1997), che segna però il termine del contratto con la Sub Pop finisce e, sul finire degli anni novanta, le uscite discografiche di Matthews si fanno sempre più sporadiche.

5. Zumpano , “Goin’ Through Changes” (1996)


I canadesi Zumpano, durati il tempo di due album, rappresentano l’apprendistato power pop di Carl Newman, meglio conosciuto come A.C. Newman e oggi leader dei New Pornographers.
“Look What The Rookie Did” (1994) e “Goin’ Through Changes” (1996), entrambi pubblicati dalla Sub Pop, sono sulla stessa lunghezza d’onda della produzione dei connazionali e contemporanei Sloan : tutti e due i gruppi sono abili nello scrivere canzoni costruite attorno a idee, passaggi musicali con al centro – sempre o quasi – armonie e melodie deliziosamente pop.
La fine degli Zumpano ha portato, però, alla nascita (nel 1999) – come già accennato – dei New Pornographers : la nuova formazione di Newman, sicuramente legata al passato del musicista canadese, segna un’evoluzione del suo songwriting, come raccontato anche dallo stesso artista in un’intervista sul sito online ontheaside.com di un annetto fa, dell’aprile 2017 : “Zumpano erano questa band che stava cercando la classica cosa pop, […] i New Pornographers stavano cercando di ripensare a quello che avevo fatto, e poi decidere cosa mi piace e cosa non mi piaceva”.

4. Red Red Meat , “There’s a Star Above the Manger Tonight” (1997)


I Red Red Meat , nati a Chicago nella prima metà degli anni novanta incrociando passato (la tradizione blues) e presente (all’epoca il grunge), trovano la propria dimensione personale pubblicando, per la Sub Pop, dischi come “Bunny Gets Paid” (1995) e “There’s a Star Above the Manger Tonight” (1998) : la band – Tim Rutili (voce, chitarra), Tim Hurley (basso, chitarra), Brian Deck (produtttore, arrangiatore, batteria, piano) e Ben Massarella (batteria) – trova il (proprio) punto di svolta oltrepassando i limiti del linguaggio del rock convenzionale lasciandosi andare completamente alla sperimentazione in chiave acustica ed elettrica e alla destrutturazione funambolica dei tempi blues e rock.
Racconta Tim Turili, “Penso che Bunny sia il disco con cui abbiamo smesso di essere una band rock convenzionale cominciando ad essere noi stessi […].È stato l’inizio del nostro esperimento, cosa potevamo fare in studio e cosa potevamo fare come band”. (Exclaim, 30 marzo 2009).
E questa esperienza continua ancora oggi, anche se sotto un nome diverso : Califone.

3. Scud Mountain Boys , “Massachusetts” (1996)


Gli Scud Mountain Boys, formazione americana attiva nella prima metà degli anni novanta, raccontano il lato più country e intimista di Joe Pernice : prima di abbracciare la via del scrittura (power) pop, il musicista di Boston si ritrova a condividere momenti di intimità acustica suonando canzoni country insieme a Stephen Desaulniers (basso, voce), Bruce Tull (chitarra, lap steel, voce), Tom Shea (batteria, mandolino).
La band – quello che si direbbe un gruppo di amici – è nata, a dir la verità, come una band rock & roll classica ma ben presto si abbandona a suonate acustiche intorno al tavolo di una cucina o in piccoli club. “Massachusetts” (1996), terzo disco a nome Scud Mountain Boys e il primo (e ultimo) ad essere pubblicato dalla Sub Pop, segna l’apice creativo del gruppo : come non mai Pernice e compagni narrano, quasi in un fil di silenzio che si fa musica, una malinconia stordita e un romanticismo disperato. Un chiaroscuro di melodie venate da ritmi country.

2. Beachwood Sparks , “Beachwood Sparks” (2000)


La California e il suono della west coast anni sessanta sono il cuore pulsante dei losangelini Beachwood Sparks , gruppo dalle mille vite ma con una sola anima fatta di amore la “traditional psychedelic music” (così si sono autodefiniti) e la “american music”.
Verso la fine degli anni novanta nasce il primo nucleo della band, quando Brent Rademaker, già mente dei Further, incontra Chris Gunst – chitarrista negli Strictly Ballroom e dj della stazione radiofonica KXLU – e cominciano le jam session nella Southern California. Arriva il primo concerto nel giugno 1997 al Hollywood Moguls club e nell’ottobre 1998 il primo singolo – “Desert Skies / Make It Together” – per la storica Bomp Records di Greg Shaw. Il primo album va perduto, per poi essere recuperato – con il nome di “Desert Skies” – nel 2013 dalla Alive Records. L’esordio ufficiale è, quindi, quello dal titolo omonimo su Sub Pop, “Beachwood Sparks”, pubblicato nel 2000 : nel disco, come nel successivo “Once We Were Trees” (2001), la formazione californiana intreccia la forma canzone pop con le digressioni psichedeliche e con il suono cosmico del country alla Gramm Parsons.

1. Six Finger Satellite , “Severe Exposure” (1995)


Originari di Providence (Rhode Island), i Six Finger Satellite sono l’anello di congiunzione tra l’underground anni ottanta e quello anni novanta : dal 1990 in poi portano avanti un discorso musicale – fortemente personale, schizoide e avanguardistico – che però ha le sue radici nel suono art, synth/post punk, post-hardcore e noise rock del decennio precedente.
“Severe Exposure” (1995), secondo album della band edito dalla Sub Pop, è il punto più alto della sperimentazione sonora della formazione : proseguendo la strada tracciata con l’esordio “The Pigeon Is the Most Popular Bird” (1993), il gruppo – tra chitarrismo deflagrante e rumorismo elettronico a base di synth – traccia le linee di un caos dadaista in musica. Senza limiti e regole.

(Monica Mazzoli)