HOOKWORMS, “Microshift” (Domino, 2018)

Lo avevano detto già prima che l’album fosse pubblicato: il nuovo disco sarebbe stato completamente differente da “Pearl Mystic” e “The Hum” e orientato verso una certa psichedelia di carattere ossessivo e fatta di ripetizioni cicliche riprese dal kraut-rock o il sound degli Spacemen 3. Così, adesso che “Microshift” è stato pubblicato e possiamo finalmente ascoltarlo, non possiamo che convenire che Matthew Johnson, il carismatico e anti-divo frontman degli Hoowkworms, e i suoi compagni siano stati di parola. Quello che la band di Leeds non ci aveva detto, tuttavia, è che questo nuovo sound sarebbe stato anche segnato da una decisa svolta pop, che giunge inaspettata ma che dopo una iniziale curiosità, vince ogni diffidenza e appare effettivamente riuscita.

La componente sintetica in questo nuovo disco è sicuramente quella dominante, ma del resto non poteva essere altrimenti nell’intento di combinare una certa psichedelia con composizioni allo stesso tempo pop e ascoltabili, persino dancerecci. “Negative Space” apre subito le danze con un pezzo pop trascinante e costruito su basi sintetiche riprese dalla esperienza della french touch e che può ricordare i momenti migliori dei Daft Punk. Con “The Soft Season” si paga pegno agli Spacemen 3 e al talento melodico di J. Spaceman e dei suoi Spiritualized. “Reunion”, “Each Time We Pass” e il sound espressionista di “Boxing Day” sono sicuramente momenti interessanti, ma il disco come detto è soprattutto una manifestazione di energia synth-pop, ribadita da ripetizioni modulari sintetiche a metà tra espressioni di pura gioia e neo-romanticismo come “Opener”, “Ullswater”, “Static Resistance”, “Shortcomings”. Suoni che potrebbero apparire anomali per un gruppo che si è sempre sottratto a ogni protagonismo, ma che evidente con questo lavoro mira a esprimere completamente se stesso e reclamare la giusta attenzione da parte degli ascoltatori e la critica musicale di ogni tipo.

74/100

Emiliano D’Aniello