THE WAR ON DRUGS, “A Deeper Understanding” (Atlantic, 2017)

Adam Granduciel è uno che non spreca le parole. Visibilmente un tipo schivo, sul palco e fuori dal palco, che ha sempre l’aria di non essere completamente a suo agio sotto i riflettori. Eppure, negli ultimi anni la sua band ha riscosso un successo imprevedibile, insperato, quasi inspiegabile. Il perché proviamo a spiegarlo qui sotto.

Riprendiamo il discorso del non sprecare le parole. Tre anni fa su “Lost In The Dream” a gonfiare l’hype dei The War On Drugs, una band che prima ad ora non godeva di certo di un successo esteso. Quell’album, come suggerisce il titolo – profetico o programmatico – non era altro che il tentativo di Granduciel di perdersi in nuovi territori del rock, fino ad allora soltanto vagamente lambiti nei dischi precedenti della sua band. Un perdersi che ha accezione romantica, che vede cioè nell’errare anche e soprattutto una fonte di conoscenza: e infatti nella decina delle canzoni che componevano il disco emergeva con forza la realizzazione dei The War On Drugs come una grande rock band internazionale, capace di scrivere prima ed eseguire poi un suono dagli innegabili rimandi classici ma capace di rimanere nonostante tutto sorprendente per intuizioni e melodie.

“A Deeper Understanding” è il disco che lo segue, e anche in questo caso il titolo aiuta, e parecchio, a capire che lavoro stiamo ascoltando. Un album in cui Granduciel diventa nettamente la figura centrale del progetto the War On Drugs, autentico deus ex machina della band e primo protagonista di ogni sua produzione. E soprattutto, emerge come essere umano, mettendo in gioco sentimenti e pathos emotivo in un modo così autentico, naturale e sincero come forse mai prima d’ora. “Give me a deeper understanding of who I am” canta nella cruciale “Pain”: è intorno a questa frase che va inquadrato questo nuovo lavoro, nel quale le tensioni classic-rock si palesano ancora con più vigore, smarcate ormai dalla paura di assumere toni eccessivamente citazionisti.

C’è chi dice Springsteen, chi dice Dire Straits, e chi dice Tom Petty: la realtà è però un’altra, e cioè che Granduciel e la sua band riescono ormai a confezionare un suono che è innegabilmente derivativo ma ormai riconoscibile, una miscela in cui è difficile, e parecchio, separare gli elementi costitutivi. E se proprio si riconoscono, è difficile trovare oggigiorno chi interpreti quel suono in maniera così credibile. Perché se è vero che in alcuni passaggi vengono in mente alcune cose già sentite, è altrettanto vero che questo album dei The War On Drugs suona esattamente come un album dei The War On Drugs.

Qualche esempio? “Up All Night” si apre con un piano classico che ricorda molto il boss del New Jersey, ma poi arriva una coda tutta chitarra e riverberi che sarebbe da ipocriti non addebitare a quello “Slave Ambient” che tutti i fan puristi prendono a termine di paragone di un’identità musicale ormai andata per sempre. Per “Stranger Thing” si può fare lo stesso discorso, con quell’urlo di chitarra sul finale. E che dire di “Thinking Of A Place”, il primo estratto, un gioiello di undici minuti che solo qualche stolto potrebbe accusare di strizzare l’occhio alle radio?

D’altro canto, sarebbe da sordi non riconoscere qualche episodio in cui l’influenza dei grandi del rock americano si fa più marcata: le percussioni metronomiche di “Holding On” riconducono sempre a Springsteen (epoca “Dancing In the Dark”), e “You Don’t Have To Go” svela un cantato le cui tonalità si fanno a tratti dylaniane. Piccoli rimandi impolverati che però riacquistano splendore se inseriti in una scrittura corposa e stratificata che Granduciel e soci sanno confezionare ormai con originalità, abilità e dimestichezza.

Potremmo quindi scrivere che “A Deeper Understanding” tutto sommato non sposta nulla nell’economia dei The War On Drugs, perché il vero tuyrning-point è stato il precedente lavoro. Ma saremmo poco generosi: qui c’è una band che ha finalmente trovato il suo modo di esprimersi, e di farlo capire al suo pubblico. E quindi grazie, ancora una volta.

86/100

(Enrico Stradi)