OBERHOFER, “Chronovision” (Glassnote, 2015)

chronovision_oberhoferIl secondo album in carriera dei newyorkesi Oberhofer parte con un accenno operistico melodrammatico, a riprova della bontà dei doni artistici e culturali che il gruppo di Brad (Oberhofer è il cognome del cantante) vorrebbe concedere al mondo indie-rock. Sono ragazzi colti, dalle larghe vedute, che non si accontentano di fare solo quello che sono chiamati a fare…
Un minuto dopo, però, si è già finiti nel pop jangle-wave di “Nevena”, con la batteria che fa ciak ciak, i falsetti incantati, le tastiere che doppiano la melodia e le solite cose che capitano in album del genere… La storia è sempre quella: un giovanotto universitario arriva a Brooklyn, trova un gruppetto, si mette a suonare garage rock e poi spinge gli amici a buttarsi, per questione di mode alternative, su altra roba: dream-pop, indie-pop, psych-pop, quellochevuoi-pop…

Con il primo disco “Time Capsules II”, gli Oberhofer sono arrivati al Coachella e al Lollapalooza e sulla home page di molti siti fighetti che spacciano per rock qualsiasi musica non venga prodotta interamente al computer. Così sono diventati qualcuno. A quel punto non è stato possibile invertire la rotta. E infatti eccoci qua ad ascoltare l’ennesimo tentativo di indaffarata e alienante riproposizione indie-pop dell’ideale anni ’80, con un po’ di psichedelia trattenuta a gettare ombre sull’insieme. Il pezzone della selezione dovrebbe essere “Together/Never”, una canzoncina che rinnova un modello un tempo funzionale: chitarra new wave in penombra su tempo secco e veloce con la melodia brillante a bilanciare le atmosfere troppo scure. Roba che qualche deviato con problemi motori potrebbe anche provare a ballare. Il beat iniziale di “Memory Remains”, la traccia numero quattro, sembra quello di “Got My Mind Set on You” di George Harrison e la melodia un fraintendimento dello slancio melodico The Cure. “Someone Take Me Home” è un pop-rock collegiale alla Weezer, con il solito ritornello in falsetto. Ma non lamentiamoci: nella sua vanagloriosa elettricità a buon mercato è la cosa migliore del disco.

Con “Sea of Dreams” lo sguardo della band fotografa con perspicacia l’interminabile e irrisolta malinconia della gioventù. Anche se nelle foto sembrano sono tutti sorridenti, snelli e contenti, pure i ragazzi di oggi avranno a che fare con le delusioni, i sogni infranti e la tristezze, e gli Oberhofer s’inventano proprio per loro una ballata piano e mezzi sorrisi meditabondi. Un pezzo per i momenti di indagine interiore, tipo quando ci si collega a Facebook senza comparire in chat. “Me 4 Me” è ancora puntata alla leggerezza jangle-pop; “Sun Halo” insiste su una progressione armonica banalissima e allunga il ritornello con vocalizzi da sirena sfiatata. E così, tra accenni a questo e accenni a quello, si arriva fino al notturno posticcio di “Listen to Everyone”.

La voce Brad Oberhofer è spesso piatta, ma quando prova a inseguire prospettive originali diventa pienamente fastidiosa. Tra tutti, quello che lavora meglio è il chitarrista Matt Scheiner, ma ha ormai pochissimo spazio. Mai dire mai. Magari l’anno prossimo torna di moda l’hair metal e potrà sfogare tutto quello che non ha potuto qui.

40/100

Giuseppe Franza