FLOW Festival, Helsinki, 14-16 agosto 2015

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Helsinki è la capitale più a nord tra tutte quelle situate sulla terraferma d’Europa. Da lì sembra di poter vedere dall’alto tutto il resto del continente. Ed è entrandoci dentro – passeggiando nei lunghi viali che si incrociano dalle foreste al porto, ammirandone le architetture funzionaliste di soli acciaio e vetro, o i vecchi edifici in stile nordico, liberty, gotico a seconda delle epoche- che ci si accorge di quando questa città trasmetta un forte senso di modernità. Una non-metropoli di seicentomila abitanti in cui tutto è studiato per funzionare alla perfezione. Antico e attuale, storia e futuro.

In questo brulicante ma non caotico ecosistema sociale, a pochi passi dal centro storico, in una zona industriale urbana inutilizzata da anni e più tardi riconvertita in un mega-spazio culturale, ha sede il Flow Festival.

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Ci si accorge subito di come questo festival sia l’esempio perfetto per spiegare la città, i suoi abitanti, il loro modo di stare al mondo. Al Flow Festival si mescolano le diversità, e dallo scontro nascono nuove opportunità di espressione culturale. Il pop si mescola all’elettronica da club, il folk alla techno, lo shoegaze all’hip hop e tutto rimane in un invidiabile equilibrio senza mai sembrare un’accozzaglia di robe lontane tra loro. È lo spazio, e la gente che lo riempie, a fare da collante alla musica. Non c’è nessuna caratterizzazione a priori, ma è proprio l’ibridazione a fare da linfa e a dare vita all’evento. Una cosa distante anni luce dalla situazione musicale-organizzativa italiana: per noi tutto ciò è solo un concetto astratto, qua è pura realtà tangibile.

Otto palchi, centosedici concerti, un laboratorio di arte attivo per tre giorni filati, mostre e conferenze, centomila partecipanti. Questi sono i numeri. La spiegazione inevitabilmente parziale di quello che è successo invece la trovate qui sotto, ordinata nel modo più semplice: giorno per giorno.

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Day 1 – 14 agosto
Impazienti di assistere al festival nonchè al goderci le vacanze (che sono la stessa cosa), siamo tra i primi ad entrare. La temperatura mite fa da ambiente per una perlustrazione che credevamo rapida e che invece dura qualche minuto di più: ci rendiamo conto che lo spazio è grande, ma molto più grande di quello che ci immaginavamo. Al centro il main stage, di fronte invece lo scheletro di un vecchio edificio di cui non riusciamo però a capire la funzione originale, ed intorno di tutto: murales, uno skatepark, un palco rotondo, un lavoratorio di arte con dentro robe strane, due palchi coperti da tende gigantesce, palloncini colorati nell’aria, performance di arte site-specific.
Il presobenismo è grande e decidiamo di rispettare la scaletta musicale che ci eravamo studiati: il primo artista è Sansibar, un ragazzino talmente giovane da non avere ancora nemmeno la fanpage su Facebook. Mischia i dischi davvero bene, tirando fuori una scaletta chill-lounge che ci sorprende. Chissà se mai saprà far parlare di sè.
Un buon riscaldamento per Lianne La Havas, il cui live ci stupisce a dir poco. A fine serata ci renderemo conto che è senza dubbio la cosa migliore ascoltata quel giorno, ma nel mentre che la giovane artista si cimenta nel suo repertorio variegatissimo non possiamo fare altro che strabuzzare gli occhi. Lei si che saprà far parlare – molto bene – di sé: un set potente, agilissimo nel passare dal soul melanconico, al pop spinto ma piacevole, all’hard rock. Pure Nile Rodgers che si esibirà dopo apprezza e sale sul palco per un tenero ed inaspettato abbraccio. Il finale è pazzesco, con la Havas che fa headbanging mentre la band chiude sonoramente l’esibizione. Qui una foto scattata nel momento di fuoco.
La scaletta del Flow, che non concede pause e che anche propone più live nello stesso momento, ci spinge a muoverci veloce verso gli Have You Ever Seen The Jane Fonda Aerobic VHS?, una band che con un nome così non poteva che non piacerci parecchio. Finlandesi, indie pop, cantano in inglese: hanno tutto quello che serve per comparire sporadicamente nelle vostre playlist. Malgrado stiano per finire il set, facciamo in tempo ad ascoltare l’unico pezzo che ci eravamo ascoltati prima di partire, e ci piace davvero. Ascoltatelo pure voi qui.
Decidiamo di cenare con calma, anche perchè il finale della serata non concede soste. Ben coscienti delle strane abitudini alimentari nordiche, decidiamo di evitare il cibo locale e scegliamo un sostanzioso pollo al curry, condito ulteriormente da Nile Rodgers che sul main stage ci dà che ci dà insieme agli Chic.
Dopo di lui, quello che dovrebbe essere un grande live, e che invece purtroppo ci lascia un po’ basiti: i The War On Drugs, ovvero buona parte dei motivi per cui siamo qui, non ci convincono proprio. Magari non sono in forma, oppure suonano sempre così e non lo sappiamo visto che è il loro primo live a cui assistiamo, ma la performance è spenta e se si accende è solo per sporadiche occasioni. “In Reverse“, uno dei pezzi del loro ultimo album, è una di queste. Aspettiamo fino alla fine, ma usciamo dalla Blue Tent con il magone.
Più tardi, i Ride vanno meglio, e anche se il muro di chitarre che ci aspettavamo non è così alto e compatto, portano a casa un buon concerto, molto godibile. Loro sono ancora in forma.

Day 2 – 15 agosto
Sorprendentemente più riposati rispetto al giorno precedente, decidiamo di partire forte per il secondo giorno di festival e facciamo un filotto in crescendo davvero ottimo: French Films, Shamir, e Foxygen senza soste.
I French Films sono l’espressione dell’indie rock locale, ed è ovvio che vadano benissimo. Il pubblico canta le canzoni a memoria, loro apprezzano, l’atmosfera è calda e divertita. Prima della fine del loro live, andiamo a prendere posto nella Black Tent dove però c’è già un sacco di gente: il live di Shamir è uno dei più attesi della giornata e malgrado una partenza timida, il giovane ragazzo losangelino con il tempo si scioglie e convince tutti. Il tempo che è galantuomo lo aiuterà a diventare grande davvero, le premesse ci sono tutte: una produzione electro-pop pazzesca, la voce deve irrobustirsi ma è agile. Si farà.
Torniamo sotto la tenda blu dove sono i Foxygen ad intrattenerci in uno show pazzesco, indemoniato, teatrale: la band prossima allo scioglimento già annunciato dà vita a qualcosa di davvero memorabile, una miscela esplosiva di rock’n’roll dalle migliori influenze storiche. Impossibile non spellarsi le mani alla fine.
Dopo tre live così, ci serve una sosta e mangiamo polpettine di agnello in salsa mentre Seinabo Sey non troppo lontana riscalda il crepuscolo nel Ballon Stage 360° (il palco rotondo).
Manca sempre meno all’atteso live dei Future Islands ma nell’attesa decidiamo di scaldarci un po’ con l’elettronica granitica di Evian Christ. Sotto la tende nera siamo in pochi, considerando i presenti che ammontano a più di 35.000 persone: probabilmente molti di questi sono impegnati con gli Years & Years e i Pet Shop Boys. Meglio così: lo spettacolo del producer è qualcosa di davvero potente: riempie la Black Tent di fumo per poi tagliarla fettine. Non abbiamo i tappi alle orecchie come molti altri locals, e infatti le orecchie fischiano fortissimo una volta usciti da lì.

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E poi, i Future Islands. Maestosi nel loro essere proprio come ce li si immagina. Il live è emozionante, grande, catartico. Samuel Herring è un mostro indemoniato che canta cose dolci e strazianti, il resto della band esegue tutto il loro repertorio indie pop alla perfezione. Sudore, carne, voce. Chiudiamo il secondo giorno così, nel migliore dei modi.

Day 3 – 16 agosto
Il terzo giorno inizia a fatica: la stanchezza si fa sentire ma nonostante questo non esistono motivi validi per prendersela troppo comoda: la scaletta prevista ha in programma i pezzi grossi Flying Lotus, Beck e Florence And The Machine.
Già prima delle 16 siamo dentro, e ci godiamo i Kakkmaddafakka nel palco rotondo. Piacciono e divertono i presenti, ancora pochi: evidentemente non siamo gli unici ad essere affaticati.
Dopo di loro, siamo indecisi tra due band finlandesi: i Cats Of Transnistria e i K-X-P. Scegliamo i primi, che dalle nostre documentazioni dovrebbero molto lontanamente assomigliare ai Beach House. Ci rendiamo ben presto conto che non è così, e che i video su Youtube sono molto fuorvianti: diamo loro tempo tre pezzi, che definire bruttini è dire poco, e li lasciamo lì. I K-X-P sono tutt’altra roba: electro-punk, una roba che qui al nord-est va molto e infatti il pubblico apprezza. A noi non sconvolgono la vita, ma è comunque meglio della roba di prima.
Ci costringiamo a cenare ad un orario indegno, le 18.30, perchè consapevoli che più tardi non avremo occasioni di fermarci. Da lì in poi infatti, comincia il gran finale.
Natalie Prass fa da sfondo alla coda per la pipì prima di appostarci sotto il main stage: sta per arrivare Beck e siamo elettrizzati.
Qualche minuto di ritardo come sanno avere solo le primedonne e poi eccolo spuntare saltellando. È proprio lui, Beck, e dall’emozione continuiamo a ripetercelo: “è lui, è lui, è Beck!”. Un set pazzesco di quasi due ore, che sfodera i suoi pezzi migliori. Non potevamo davvero chiedere altro, e ci godiamo il momento insieme al resto delle tantissime persone insieme a noi. Ma un repertorio best of non è abbastanza per il folletto americano ed ecco infatti che insieme alla band inscena un sorprendente cambio palco. Prima chiude lo stage con il nastro “crime scene – do not cross” di C.S.I, poi dopo qualche minuto ritorna ancora più carico per un encore di cover soul e funky. Pazzesco, pazzesco. Sono concerti così che ridanno le misure alla musica.

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Ancora meravigliati, andiamo a farci stordire per qualche minuto da Flying Lotus. C’è una moltitudine incredibile di persone sotto la Blue Tent, e tutte ipnotizzate dal set del californiano, massiccio e potente.
Cominciamo ad avvertire alcuni segni di cedimento fisico, ma non abbiamo tempo di identificarli precisamente e ciondoliamo di nuovo sotto il main stage, che si sta affollando di minuto in minuto. Siamo qui per il live di Florence And The Machine, che iniziano il concerto puntualissimi. Malgrado sia alla chiusura del tour, e al contrario nostro, Florence non mostra segni di stanchezza e regala lo spettacolo che volevamo da lei: emozionante, fisico, frenetico, sacro. La dea rossa del pop è in formissima e forse addirittura rigenerata dall’ultimo disco, che la riporta ad esibirsi dal vivo in modo più libero e genuino rispetto a “Ceremonials”. La folla davanti a lei la segue nei movimenti, partecipa con il corpo, gli occhi e le orecchie a quella che ha tutta l’aria di essere un rito sacro. Il finale è da brividi e tirate le somme, la convinzione è sempre quella: questa donna è una forza della natura.

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Potremmo dirci a posto così, visto che Florence ha chiuso in maniera maestosa. Invece un po’ per curiosità per vedere a che punto sono con la cura dell’acne, un po’ per affetto nei confronti del loro primo album, ritorniamo sotto la Blue Tent dove stanno finendo il loro spettacolo gli Alt-j. Siamo fortunati, perchè arriviamo proprio quando la band di Leeds ha incominciato i tre pezzi conclusivi, che non a caso arrivano tutti dall’album d’esordio “An Awesome Wave”: “Taro”, “Something Good” e “Breezeblocks” chiudono così l’ultimo live del Flow Festival 2015.

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Ora che sono passati ormai un po’ di giorni e ci si sta lentamente rendendo conto che il festival – e le nostre vacanze – sono finite, cresce sempre più la realizzazione di aver assistito a qualcosa di grande. Non abbiamo avuto la fortuna di assistere a grossi festival europei, ma siamo convinti che il Flow Festival di Helsinki si possa piazzare senza dubbio tra i primi cinque in Europa, sia per l’offerta artistica, sia soprattutto per quello che il festival rappresenta: non è un circo che accende le sue lucine colorate per soli tre giorni all’anno per poi spegnersi altri trecentosessantadue (così come succede in altre parti d’Europa o d’Italia), ma è la massima espressione di un’incessante e fruttuosa spinta di energia culturale e sociale che è quasi un onore aver potuto sentire su di noi anche solo per pochi giorni.

Enrico Stradi

(le foto sono del profilo ufficiale del Flow Festival Helsinki, mie, o di dumdumberries. C’è anche un video accelerato dell’ultimo giro prima di salutare il festival )