PANDA BEAR, “Panda Bear Meets The Grim Reaper” (Domino, 2015)

pandabearmeetsthegrimreaperTorna ufficialmente dopo quattro anni Panda Bear, al secolo Noah Lennox, voce e visionario alchimista di synth e ritmiche negli Animal Collective. Nel mezzo “Centipede HZ”, nono album in studio per la band di Baltimora, arrivato dopo il successo di “Merriweather Post Pavilion”, capolavoro sotto il peso del cui clamore è stato schiacciato e un po’ ingenerosamente fatto scivolare presto nel dimenticatoio. Non sono stati in pochi a segnalare i due brani targati Lennox tra gli episodi più interessanti dell’ultimo capitolo della lunga carriera degli Animal Collective: “Rosie Oh”, un classico del loro stile, e la più contaminata “New Town Burnout”, segnata da quei groove da dub geneticamente modificato che hanno influenzato “Tomboy”, quarto album solista di Lennox. “Tomboy” era un lavoro a regola d’arte, ma ha risentito non poco della pesantissima eredità del suo predecessore. “Person Pitch”, distribuito nel 2007, è uno dischi più intensi e significativi dello scorso decennio, per molti uno dei vertici assoluti della musica indipendente tra il 2000 e il 2009, addirittura mai superato nemmeno dagli stessi Animal Collective. Un seguito di pari livello sarebbe stato un miracolo, soprattutto per il parallelo meritato hype di “Merriweather Post Pavilion”.

Noah, nonostante quell’aspetto da eterno Peter Pan, è padre di due bambini, da un decennio ha abbandonato Brooklyn per andare a vivere con la moglie portoghese nella periferia della periferia musicale del giro indipendente, Lisbona. Lontano da tutto e da tutti, continua a esplorare nuovi territori musicali, senza mai discostarsi da quell’impronta musicale che ha reso inimitabile Panda Bear e, in una certa misura, gli stessi Animal Collective: un’elettronica psichedelica, spigolosa e al contempo elegiaca con quelle armonizzazioni vocali da Brian Wilson androide.

Non è cambiato granché nel caleidoscopico mondo del trentaseienne Lennox. Al suo fianco c’è ancora quel personaggio poco raccomandabile di Sonic Boom (Spacemen 3, Spectrum) a mantenere gli equilibri nel nome di una psichedelia lieve e mai vorace. Con “Tomboy” si era spinto un po’ oltre in certe suggestioni elettroniche più convulse ed estranee all’universo Animal Collective, dall’IDM alla psichedelia più dilatata di ispirazione quasi ambient. In questo quinto LP la musica cambia parzialmente.

“Panda Bear Meets The Grim Reaper” rappresenta un nuovo equilibrio che sposa perfettamente l’istinto sperimentale degli ultimi due album e la ricerca delle cose semplici, a partire dalle melodie e dalla struttura dei brani. Tra le influenze ricorrono nuovamente quelle di grandi classici del dub anni Settanta, e Noah ha citato produzioni all star quali “Augustus Pablo Meets Lee Perry and the Wailers Band” o “King Tubby Meets Rockers Uptown”. Panda Bear ha sempre avuto un animo pop d’annata, ma in questo lavoro assorbe per la prima volta l’ispirazione di alcuni classici hip hop anni Novanta (tra i suoi prediletti ci sono Dust Brothers, Q-Tip, A Tribe Called Quest, Pete Rock, DJ Premier, 9th Wonder e J Dilla). Non si è messo a rappare, state pur tranquilli, la voce è sempre la sua e questa nuova fonte d’ispirazione si percepisce piuttosto nella battuta e nel sound di basi e sample. “Butcher Baker Candlestick Maker”, “Crosswords” e soprattutto i sette minuti di “Come To Your Senses”.

La stessa, già nota, “Mr. Noah” ne risente, pur rappresentando la quintessenza del suono Panda Bear con quei classici ubriacanti vortici vocali che “solo lui”. Al pari dell’altro brano apripista già noto a seguaci e non, l’ipnotica “Boys Latin” che come la conclusiva “Acid Wash” non sfigurerebbe né stupirebbe in un disco degli Animal Collective.
In molti, anche alla luce dei suoi live, si aspettavano un album più dance, ma i groove si lasciano andare del tutto solo in “Principe Real” e “Selfish Gene” dove si scontrano la chill-wave più ballabile e l’acid house. Con quelle armonie vocali sovrapposti che restano inconfondibile, soprattutto nella seconda. Resta inconfondibile, e più rassicurante per chi si era innamorato di “Person Pitch”, nelle avvolgenti “Sequential Circuits” e “Tropic Of Cancer” dove emerge il suo indubbio talento da songwriter psych-pop nipote putativo dei fratelli Wilson o nella sommessa ballad ambient-lunare “Lonely Wanderer”.

85/100

(Piero Merola)