CARIBOU, “Our Love” (City Slang, 2014)

7580a6ab-300x300Nella vita esistono delle circostanze in cui il ritardo si rivela proficuo e la recensione in ritardo dell’ultimo disco di Caribou è una di quelle circostanze. Sì perchè – lo anticipiamo subito – questo disco di Caribou non ci è piaciuto poi così tanto.

Sono passati quattro anni da quel labirinto psichedelico che rasentava la perfezione che è stato “Swim”, e nel frattempo Daniel Victor Snaith non è rimasto con le mani in mano. Sono successe due cose senza le quali probabilmente ora questo “Our Love” non esisterebbe proprio, o perlomeno suonerebbe in maniera diversa. La prima è che si è inventato “Daphni”, lo pseudonimo con cui lasciarsi andare alle sperimentazioni e contaminazioni clubbing e dance. La seconda è che Daniel Victor Snaith è diventato papà: gli è nata una bambina.

Alla sua personalissima maniera quindi “Our Love” di Caribou è un disco che prova a condensare nella durata di sole dieci canzoni la sua evoluzione, tanto musicale quanto soprattutto umana.
Ci riesce? La risposta è “non del tutto”.

Perchè è vero che dopo il travestimento di Daphni anche il suono di Caribou è cambiato, forse in maniera definitiva, forse in maniera irrimediabile: la psichedelia elettronica di Swim lascia spazio alle tentazioni recenti, all’house, come testimoniano “Back Home” e “Your Love Will Set You Free”. Ma è altrettanto vero che non sempre questa evoluzione sembra resistere alla prova del tempo: passate le fasi dell’ascolto impaziente, dell’ascolto analitico, dell’ascolto rispettoso degli aficionados, passati gli entusiasmi, rimane l’evidenza di parecchi passaggi a vuoto nel corso del disco. Ci sono momenti ottimamente riusciti e confezionati, come “Cant Do Without You” / “Silver” / “Our Love”, ma anche molte cose insipide: “All I Ever Need” è una versione depotenziata di “Your Love Will Set You Free”, e da “Dive” a “Mars” – cioè dalla cinque alla otto – si rischia il sonno.

A queste considerazioni ne va aggiunta una finale. Come spiega lo stesso Caribou, “Our Love” nasce dall’esigenza di provare a universalizzare il disco – e in maniera conseguente il suono, rendendo questo suo ultimo lavoro più ascoltabile rispetto alle cose precedenti. Un’esigenza che si può anche comprendere, ma che facciamo fatica a condividere, se poi si traduce in concreto in un album che non è più semplice, più immediato, ma forse soltanto più ruffiano. Il che può anche andare bene ai primi ascolti, o a chi Caribou lo scopre solo ora che tutti ne parlano, ma per chi sa di cosa è capace di fare l’artista canadese risulta a tratti un po’ insipido.

Fatti un po’ di conti dunque, “Our Love” è un disco che sa comunque stare in piedi, sa farsi piacere, è un disco furbo: a parte le tracce che verrà la tentazione di skippare, e forse succederà davvero di farlo, se la cava egregiamente di mestiere con quei quattro o cinque pezzi pregevolissimi all’inizio e alla fine del disco.

77/100

Enrico Stradi