PARQUET COURTS, “Sunbathing Animal” (What’s your rupture?/Rough trade, 2014)

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I Parquet Courts sono un “American band”, non hanno una dimora fissa, né hanno radici territoriali, vagano e viaggiano da sempre. Texani di origini, si sono trasferiti a Brooklyn, ma chissà che non la lascino.

“Sunbathing animal” è il secondo album – terzo se si considera la cassetta autoprodotta “American Specialties” (2011) –  ed ha la freschezza di un esordio, con un’urgenza espressiva ai massimi livelli. Le carte in tavola sono sempre le stesse, non è cambiato (quasi) nulla rispetto a “Light up gold”: c’è sempre una ruvidezza di fondo nei suoni, manca forse l’ossessività contorta di una “Yr Stoner” (con quel riff di chitarra che si fissava subito in testa).

I suoni però non si fanno puliti, tutt’altro: mantengono quella venatura di sporcizia sonora, tutt’al più, in alcuni casi, il tappeto musicale si dilata e il ritmo rallenta (“Dear Ramona”, “She’s rollin”, “Instant Dissasembly”). Ma non è sempre così: in altri frangenti il gruppo spinge sull’acceleratore, come mai prima e saltano fuori vere e proprie schegge impazzite, la title track è l’esempio di questa lucida follia (portata avanti anche nel non video musicale del medesimo brano).

Non c’è un unica via, ma più direzioni/prospettive e i Parquet courts non se ne precludono nessuna, fanno di testa propria, fregandosene delle mode. Spesso paragonati ai Pavement, non c’entrano poi molto con la band di Stephen Malkmus, tendono più a imbastardire il post-punk con l’hardcore americano, l’approccio secco e diretto alla scrittura dell’hardcore/post-hardcore statunitense viene smorzato da chitarre che, alle volte si fanno post –punk (“Up all night”) ed in altre, addirittura, psichedeliche (“Raw Milk”, “Into the garden”).
Meno ispirato del disco precedente, “Sunbathing animal” conferma comunque un gruppo in buona forma e con ottime idee in fase di composizione. Rappresenta un buon esempio di come si possa guardare al passato, musicalmente parlando, senza però perdersi in inutili revivalismi e copie sbiadite/pedisseque di ciò che fu.

77/100

Monica Mazzoli