Francesco Marchesi Awards 2013

francesco marchesiClassifica

1. Factory Floor, “Factory Floor”
Si può essere seriosi e travolgenti, geometrici ed accattivanti. I Factory Floor non amano però i paradossi, più modernisti che post quanto ad attitudine. Attenti al valore della propria arte e gelosi della propria indipendenza. Ortogonalità industriali, ritmiche dance, atmosfere post-punk condensate in un monolitico flusso di rigore funk.
2. Kurt Vile, “Wakin on a Pretty Daze”
L’album della maturità di un uomo, prima ancora che di un musicista, in stato di grazia. Uno di quei punti di equilibrio di cui parla la spiritualità orientale.
3. Janelle Monàe, “The Electric Lady”
L’ingestibile prolissità barocca dei grandi prodotti della black music contemporanea. Un manifesto di un certo modo di intendere la musica in questi anni e l’unico album del 2013 che certamente verrà ricordato in futuro.
4. The Range, “Nonfiction”
Un altro album algebrico: due o tre idee fondamentali, poche risorse e pretese compositive, una struttura chiara e un po’ rigida. Un disco importante non solo per il, molto originale, risultato finale, ma per approccio ed immaginario. “Metal Swing” canzone dell’anno.
5. Gold Panda, “Half of Where You Live”
Gold Panda ha trovato “la quadra”: sfrondate le reminiscenze far-east delle origini (in senso se vogliamo anche biografico), eliminate le divagazioni, ne viene fuori una formula già avvicinata in passato con un taglio forse meno immediato.
6. Jon Hopkins, “Immunity”
Capolavoro asettico. Il suo pregio e limite. Come molti album di quest’anno (o almeno di questa selezione) non indimenticabile in assoluto ma straordinariamente pensato, realizzato e confezionato.
7. Still Corners, “Strange Pleasures”
Dream-pop al modo dei Beach House, ma meno etereo e più basico. Un oggetto in effetti da amanti del genere, ma dodici canzoni da non perdere. Riuscito.
8. Axel Boman, “Family Vacation”
Se ne parlava da molto nel campo del clubbing di questo Axel Boman, già definito il nuovo John Talabot. Il disco non delude, anzi è una delle vere novità dell’anno. Anche qui come nel catalano c’è un po’ di balearic, un po’ di pop, un po’ di chillwave, ma è ancor più un’elettronica da ascolto. Piccole colonne sonore tagliate davvero sulle vacanze di famiglia della nostra infanzia.
9. Deerhunter, “Monomania”
Dopo i primi ascolti sembrava una trascurabile pausa garage per i Deerhunter. Ripreso dopo qualche mese l’impressione ancora una volta che un disco così se lo possano permettere in pochissimi. La più significativa, certo non per questo lavoro, band rock della nostra epoca. Imprescindibili.
10. Oneohtrix Point Never, “R Plus Seven”
Un album tanto bello quanto diverso dal precedente. Daniel Lopatin è alla continua ricerca di qualcosa, non è ancora chiaro di che cosa esattamente. Questo però è uno importante.

11. Disclosure, “Settle”
Notevole: freschi, divertenti, trascinanti. Una serie impressionante di inni, un successo immediato, i soliti dubbi sulla reale consistenza di operazioni come queste. Pagano molto dal vivo analogamente ad altri progetti controversi e forse estemporanei come ad esempio Grimes.
12. The Field, “Cupid’s Head”
Non sbaglia mai. Ancora una volta il migliore a cambiare poco senza essere scontato e ripetitivo. Maestro assoluto.
13. The National, “Trouble Will Find Me”
In una annata di album forse non immortali un disco per i posteri: profondi, adulti, pieni di significato. I National hanno ancora molto da dire.
14. Maya Jane Coles, “Comfort”
Riferimenti inusuali ad una elettronica un po’ datata. Una scoperta un po’ casuale ma davvero interessante.
15. Four Tet, “Beautiful Rewind”
Come The Field l’ennesimo album importante di una vera “presenza” della musica di questi anni. Certezza.
16. Arctic Monkeys, “AM”
Un esempio di gestione illuminata della fuoriuscita da una formula profondamente caratterizzata e definita. Il compimento di un percorso partito da “Humburg”: rock classico ben scritto. La band ex-adolescenziale più solida e matura che si possa incontrare.
17. James Blake, “Overgrown”
James Blake, si sa, ha due anime: una più sperimentale, legata alle origini dubstep, e una più classicheggiante, pop e soul. Se nei primi EP’s prevaleva la prima mentre nel debutto la seconda raggiunge la perfezione, qui sembrano convivere in modo conflittuale. Vediamo come va a finire.
18. Porcelain Raft, “Permanent Signal”
Almeno un paio di pezzi maestosi, un album bellissimo. Se non fosse che, al netto di alcune eccezioni, tutto ciò che è rock in questo periodo mi sembra un po’ irrilevante, meriterebbe una posizione più alta. Toccante.
19. Braids, “Fluorish // Perish”
Un po’ Bjork, un po’ Bat For Lashes, un po’ Andrea Parker. Minimalismo evocativo.
20. Savages, “Silence Yourself”
Per certi versi il caso dell’anno: wave molto consapevole, canzoni-manifesto, durezze, asperità e, non ultimo, serietà post-punk. Il problema non sono però tanto i debiti, evidenti, quanto la possibilità di essere fagocitate dal quel modo di normalizzare ogni cosa tipico della cultura musicale “alternativa” contemporanea. Saranno le Pussy Riot di Pitchfork o qualcosa di meno addomesticato e più eversivo?

21. Laurel Halo, “Chance of Rain”
22. Zomby, “With Love”
23. Emiliana Torrini, “Tookah”
24. Fuck Buttons, “Slow Focus”
25. Tim Hecker, “Virgins”
26. Moderat, “II”
27. My Bloody Valentine, “MBV”
28. Daughter, “If You Leave”
29. James Holden, “The Inheritors”
30. The Haxan Cloack, “Excavation”

Copertine

Braids Fluorish Perish

1. Braids, “Fluorish // Perish”
2. Tim Hecker, “Virgins”
3. Nick Cave & The Bad Seeds, “Push The Sky Away”

Bolliti

Vampire Weekend, “Modern Vampires Of The City”
Jay-Z, “Magna Carta Holy Grail”
Wavves, “Afraid Of Heights”
Washed Out, “Paracosm”
Tricky, “False Idols”

(Francesco Marchesi)

Collegamenti su Kalporz:

Francesco Marchesi Awards 2012
Francesco Marchesi Awards 2011

27 dicembre 2013