MATTHEW E. WHITE, “Big Inner” (Spacebomb Records / Hometapes, 2012)

In chi scrive sta sorgendo sempre di più la convinzione che il duemilatredici sarà l’anno della fine di quasi tutte le convinzioni che si hanno in testa. Tra di queste, quella di non riuscire a sopportare il soul americano per più di due canzoni consecutive. Ed il merito va sicuramente ad un certo ragazzone della Virginia, brutto forte, che di nome fa Matthew E. White.

Matthew E. White in Italia non se lo fila nessuno, ma a casa sua va abbastanza bene: promotore culturale, arrangiatore e produttore musicale. Una specie di tuttofare di cose belle. E infatti non si smentisce nemmeno nel suo disco d’esordio, uscito l’anno scorso negli Stati Uniti, e che fortunatamente arriva or ora anche in Italia.

Il disco si chiama “Big Inner” ed è una scatola di cioccolatini tutti buonissimi. Lo sappiamo tutti come funziona con le scatole di cioccolatini, ce n’è sempre uno che fa schifo. Qui invece no: sette canzoni lunghe ma mai troppo per un totale di quaranta dolcissimi minuti di musica. Le canzoni sono tutte cantate con la voce rilassata, e suonate mescolando i classicismi lenti del soul nero americano con il più moderno indie-pop, gli ottoni con le chitarre e l’handclapping, i cori gospel coi ritmi spiritualized-izzati.
“One Of These Days” , la prima traccia, parte piano piano e intima poi si apre enorme. In “Big Love” c’è un sacco di roba: i cori sullo sfondo, la chitarra elettrica, pianoforte, percussione e clap clap di mani a ritmo. “Will You Love Me” è una canzone bellissima se volete bene a qualcuno e avete tempo da perderci insieme tra le lenzuola. Il disco continua liscio fino a “Brazos”, dieci minuti scarsi di zucchero filato che si avvolge sul finale tra gli archi, il gospel e il loop ritmico che tanto riesce bene all’indie più recente.

Certo, Matthew E White alcune cose che sentiamo nel disco mica le ha inventate lui, e anzi è palese il riferimento ai grandi nomi della black music americana e quindi ai grandi della Motown Records degli anni ‘70. Del resto anche lui stesso ha ammesso senza problemi di aver preso cose qua e là prima di risuonarle nelle canzoni. Però al ragazzo vanno riconosciute grandissime abilità compositive, soprattutto quando cerca – e riesce – a togliere la polvere dalle cose un po’ superate.
Chi scrive azzarda anche un pronostico: buon piazzamento nella top ten di fine anno. Oh, mal che vada, sarà stata un’altra delle convinzioni a cadere.

78/100

(Enrico Stradi)

20 febbraio 2013

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