TORO Y MOI, “Anything In Return” (Carpark, 2013)

Toro Y Moi manda definitivamente al diavolo la chillwave e gli onanismi lo-fi. E si lancia in un album dal suono ancora più plastico e fruibile di “Underneath The Pine”. Da Rihanna a quel “Midnite Vultures” di Beck fino a How To Dress Well, nei tredici pezzi di “Anything In Return” ci puoi trovare di tutto. Con il disco pronto dallo scorso autunno, il compositore del South Carolina ha ben pensato di tirarsela. In fondo non fuma, non beve, si veste bene, ha il sorriso da nero delle sit-com stampato e una faccia davvero simpatica. Così ha offerto un ascolto con tanto di cuffie wi-fi disseminate in un minuscolo bar di Bedford-Stuyvesant, cuore nero di Brooklyn. Lui che poi così nero non è. Tutto sponsorizzato da Red Bull. Insomma, sembrano finiti i tempi dell’introspezione da cantina o da cameretta quando scambiava musicassette e forse qualcos’altro con il socio d’università Ernest Green. Erano tempi californiani e il socio sarebbe diventato l’altrettanto celebrato Washed Out. Il sound Toro Y Moi ha esteso i suoi confini e ha una sua identità che lo rende già inconfondibile. Che a nemmeno 27 anni non è poco.

Si parte a razzo con “Harm In Change” e “Say That” che hanno un potenziale da hit house pericolosissimo quanto “Rose Quartz”. I suoni sono sempre equilibrati, black come le sue origini. Afro-filippino, cool, designer, videoclip di buon gusto girati con pseudo-guru di Brooklyn, Chazwick Bundick col suo nome tra supereroe e personaggio dei cartoon è un emblema della Obama generation. Fa il Prince in “So Many Details” e “Touch”. Abbandona territori da colonne sonore b-movies (ok, falsetto eunuco di “Studies” a parte), e preferisce pescare nel decennio successivo. E si improvvisa cantante. Mai aveva curato così tanto le linee vocali (“Cola”, “High Living”). “Cake”, ha dichiarato, è così smaccatamente pop da essere ballata anche dalla sua ragazza storica. Che è una giovane fan del più giovane Justin Bieber. Non c’è da storcere il naso, Bundick è espressione di questo mistone contraddittorio che nell’ascolto ti porta la mente da Michael Jackson all’r’n’b e un secondo dopo a Seefeel e Caribou. Tutto in maniera, uniforme, omogenea, senza strappi, senza vergogna. “Anything In Return” è un buon sottofondo che diventa un dancefloor lounge con due tacche di volume in più.

Non mancano i riempitivi dando un giudizio d’insieme, ma il clima è perfetto e la chiusura in crescendo è scintillante. “Never Matter” l’avrebbe voluta scrivere Justin Timberlake e finisce per essere Ariel Pink che rivisita Michael Jackson. “How It’s Wrong” l’r’n’b fagocita gli ultimi residui chillwave. E Toro Y Moi si trasfigura in un perfetto Neon Indian hollywoodiano.

76/100

(Piero Merola)

23 Gennaio 2013

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