Andrew Bird, Magazzini Generali, 14 novembre 2012

Davvero difficile restare obiettivi quando si para di Andrew Bird. Parecchio sopravvalutato per alcuni, immensamente sottovalutato per altri, l’artista americano è senza dubbio un personaggio polarizzante. Sarà per quel cantato tenorile sempre alla ricerca dell’ottava più alta o forse per il ruolo quasi invasivo dei suoi celebri fischiettii, ormai vero e proprio strumento a sé stante, fatto sta che il polistrumentista di Chicago o si odia o si ama.Viene quindi da domandarsi cosa possano aver pensato i suoi detrattori (se ce n’erano) mercoledì 14 novembre ai Magazzini Generali di Milano dopo un inizio di concerto a dir poco spiazzante.

Andrew Bird sale sul palco da solo, accompagnato unicamente dal suo fido violino, e parte subito con dei piccoli assolo che registra live con la sua pedaliera, prima di farli ripartire in loop e suonarci nuovamente sopra. Quelle che all’inizio sembrano solo divagazioni strumentali prendono lentamente la forma di una canzone, ma senza un orecchio allenato non è facile cogliere una “Hole in The Ocean Floor” irriconoscibile, a tratti quasi anarchica. Subito dopo parte “Why”, uno dei pezzi più famosi del suo primissimo repertorio, e quella di Andrew Bird sembra essere una presa di posizione netta del tipo “chi mi ama mi segua”. Il cantato febbrile non propriamente a tempo trasforma infatti il brano in qualcosa di insolito, una sorta di monologo teatrale accompagnato da schizofreniche linee di violino. Questo è Andrew Bird signore e signori, prendere o lasciare.

Chi ha resistito a questo primo quarto d’ora verrà però ampiamente ripagato.
Il violinista americano, accompagnato dalla sua collaudata band di supporto, regalerà infatti ai presenti due ore di musica di prim’ordine, trasformando un pubblico inizialmente freddino in una macchina da applausi, a tratti talmente prolungati da rendere difficilmente percepibile l’inizio delle canzoni in scaletta.
I classici dell’ultimo bellissimo “Break It Yourself” si alternano a brani del passato ed a quelli del recente ep “Hands Of Glory”, mentre Andrew sul palco passa più volte dal violino alla chitarra, anche durante lo stesso brano. La sua voce, molto più calda che su disco, a tratti raggiunge vette quasi buckleyane, regalando spesso qualche brivido agli spettatori in sala.

Fiore all’occhiello del concerto è l’intermezzo acustico che costituisce la parte centrale dell’esibizione. L’artista e la sua band si riuniscono in cerchio intorno ad un grande microfono posto ai limiti del palco, proprio sopra il pubblico, e si producono in uno show nello show. Con il susseguirsi dei brani il crescendo è palpabile, così come l’emozione del pubblico e degli stessi musicisti. Prima della fine c’è tempo ancora per un paio di pezzi più elettrici che precedono il bis dal sapore western (nuovamente acustico) e la chiusura con l’immancabile “Fake Palindromes”.

Il pubblico lascia la sala felice e ancora un po’ stordito, diviso tra chi si precipita al banco di cd e magliette e chi si ferma a parlare del live appena terminato. Le mani che dolgono per i tanti applausi ed il sorriso stampato in faccia valgono però più di mille parole. Grazie Andrew, ti vogliamo così.

Setlist:
Hole in the Ocean Floor
(Solo)
Why?
(Solo)
A Nervous Tic Motion of the Head to the Left
Desperation Breeds…
Fiery Crash
Danse Caribe
Effigy
Lusitania
Orpheo Looks Back
Eyeoneye

Acoustic
Give It Away
When That Helicopter Comes
(The Handsome Family cover)
MX Missiles
Something Biblical

Three White Horses
Plasticities
Fatal Shore
Tables and Chairs

Encore:
If I Needed You
(Townes Van Zandt cover) (Acoustic)
Railroad Bill
(Acoustic)
Fake Palindromes

 

(Stefano Solaro)

28 novembre 2012

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