DINOSAUR JR, “I Bet On Sky” (Jagjaguwar, 2012)

I miei quattro lettori capiranno cosa intendo quando dico che “I Bet On Sky” (Scommetto sul cielo) ultimo dei Dinosaur Jr., terzo album dalla reunion del 2005, è un album di adulta mestizia e di rigenerante adolescenza, di ambivalenza felix che porterà loro una seconda vita e una rinnovata fortuna.

Intanto merita un buon voto e molto affetto perché l’ambizione di conquistare una nuova fetta di pubblico continuando a usare al meglio gli attrezzi del loro indie-rock artigianale di alto valore si sente tutta e risulta accattivante. J Mascis ha fatto quello che sa fare meglio con la sua chitarra spesso lacerante e la sua voce à la Neil Young più grunge che non si può (siamo sicuri che il Neil Young grunge non imitasse i Dino?), Lou Barlow ha stabilito il valore della sua granitica presenza al servizio della composizione (suoi i due abbaglianti e rinverdenti brani: il ritmato “Rude” – da pogo – e il possente “Recognition” – da coro live) e dell’esecuzione di un basso burbero e saggio, e Murph ha regalato ancora una volta la sua giovinezza ai piatti, ai fills stretti e ai pedali che calano come macigni.

Forti di ciò che sono avanzano con l’aura mistica dei Dinosaurs mai estinti, malinconici nella possanza del loro incedere incerto tra delicatezze e ironie amarognole, pronti a riportarci indietro di venti e passa anni con apri pista mature come “Don’t Pretend You Didn’t Know” e “Watch The Corner”, senza negarsi il piacere sornione dell’anziano che spiega alle generazioni nuove il mood del loser poetico, sereno nella pacificata “Almost Fare” increspata dalla disillusione non detta, autoerotico nella lenta “Stick A Toe In”, piuttosto verboso in “What Was That”.

Ma il pregio che ne fa un concentrato di mestizia e di gioia, e la loro fortuna rinnovellata, è che “I Bet On Sky” è suonato dallo sprofondo degli anni ‘80/’90, valle concava dalla quale nessuno è ancora emerso, con la mestizia di chi non ha ancora trovato un posto nella vita e anche con il tono incoraggiante di chi indica, a chi arriva a giochi fatti, il possibile ruolo da reclamare. Una scommessa lanciata al cielo per parlare a tutte le età, mestamente a chi fu adolescente negli anni ‘80/90 e freneticamente a coloro che lo sono adesso.

Sono gli assoli agrodolci di Mascis a incollare gli estremi di un unico filo. Basta ascoltarli per sintonizzarsi su due mondi che si muovono all’unisono. Ed ecco che udiamo una doppia lingua, adulta e adolescente: mai epici ed eroici, sempre sgraziati e dolenti come i sogni di un ragazzo che vorrebbe essere un supereroe e non sa proprio da dove cominciare per realizzarsi in questo smodato sentimento d’amore, essi rappresentano contemporaneamente il ragazzo che non c’è più e il ragazzo che avanza dalle nebbie di un secolo che sorge lento. Il ragazzo ormai vecchio, che non ha mai trovato il suo destino e ha perduto la poesia della vita passata, ascolta e commosso ricorda… Il ragazzo che oggi non è ancora uomo ascolta e si alza, magari per salvare questo sventurato mondo.

70/100

(Stefania Italiano)

15 ottobre 2012

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