THE XX, “Coexist” (Young Turks, 2012)

Gli xx hanno imparato una verità tanto essenziale quanto dimenticata: che i silenzi sono importanti quanto il rumore. Ci insegna infatti l’arte oratoria che, quando si vuole captare l’attenzione della platea che ci sta ascoltando, non vi è nulla di meglio di una pausa prolungata: le orecchie si preparano all’ascolto, l’attenzione viene catturata anche perché non siamo abituati all’assenza di suono e ci si chiede cosa stia succedendo. Ebbene, non si sa quanto conscio o inconscio sia questo insegnamento nei tre di Londra, ma quello che è certo che gli xx sono la band che – attualmente – riesce ad utilizzare meglio l’attesa, il non-detto, con ciò cogliendo un’esigenza insopprimibile del nostro periodo storico così impermeato dalla comunicazione globale verbale in tutte le forme quanto dimentico della potenza degli altri modi di trasmettere significati, emozioni: del linguaggio dello sguardo, del corpo e, appunto, del silenzio.

In questo senso “Coexist” bissa il seminale “xx” (2009) con le medesime armi, senza sostanzialmente spostare la direzione della band inglese (tranne che per un leggero maggiore utilizzo di un’elettronica “povera”) e dimostrando che l’abbandono della seconda chitarrista e tastierista Baria Qureshi, avvenuto sul finire del 2009, non ha creato alcun problema progettuale. L’intreccio delle voci maschile/femminile di Romy Madley Croft e Oliver Sim ormai è divenuto un tale marchio di fabbrica che, a parere di chi scrive, è stato subito riciclato, con la medesima indolenza, anche nel pop radiofonico (“Little Talks” degli Of Monsters And Men… o no?) e per di più la qualità delle composizioni è talmente alta che solo il tempo potrà dire se, al di là dell’importanza del primo disco a livello di primogenitura di queste sonorità, “Coexist” sarà migliore o solo leggermente sotto “xx”. Senza ombra di dubbio, se fossimo ancora al tempo delle cassettine, entrambi gli album sarebbero perfettamente omogenei sui due lati di una C90, un’accoppiata possibile anche per lunghezza di “Coexist” (circa 37 minuti) che riconferma la durata di “xx” (38 minuti).

L’eloquenza, verrebbe da dire, va al di là del tempo speso per comunicare qualcosa, e gli xx sono eloquenti alquanto. Parlano poco, suonano poco, cantano il giusto (a proposito, avete notato che praticamente tutti i titoli solo formati da una parola sola?) ma la loro musica è piena di significato. Anche perché non mancano di sottolineare certi passaggi con cambi di tono: se il suono dell’album è quasi sempre lontano, effettato e distante, se i (pochi) strumenti e le voci sono misurate e rotonde, ogni tanto si cambia registro: è il caso dell’ingresso dell’assolino di chitarra in “Chained”, ad alto volume e fuori climax, oppure della cassa un po’ ingombrante di “Sunset”. Sono variazioni che gli xx utilizzano al contrario degli altri: se il mood è silenzioso, pochi ed oculati cambi di volume ri-attirano l’attenzione.

Probabilmente un terzo album di questa pasta potrà stancare, e gli xx dovranno dunque fare i conti con la necessità di far progredire il loro linguaggio, ma per ora non si può non riconoscere loro una coerenza e una lungimiranza che li assurge a ruolo di profeti musicali di questo tempo. Un tempo tanto urlato quanto bisognevole di queste invocazioni silenziose, notturne e intrise di dolore e speranza.

Praticamente, bisognoso di queste preghiere sentite.

80/100

(Paolo Bardelli)

16 settembre 2012

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