Intervista a Giancarlo Frigieri

“Ma come abbiamo fatto ad arrivare qua? D’istinto, come inconsapevoli. Forse stavamo ad imprecare nel traffico accecati dall’odio…”.
‘I Sonnambuli’ di cui parla Frigieri, nel suo ultimo bellissimo disco, in verità non arriveranno mai da nessuna parte. Così recita infatti la trama di ogni loro ‘Risveglio’ (titolo della prima traccia del disco). Classe ’72, nativo di Sassuolo, Frigieri è uno degli artisti più proliferi e impegnati del panorama musicale indipendente italiano. Pubblica infatti il suo primo album in italiano, “L’età della ragione”, nel 2009: il disco vince lo stesso anno il premio Pimi come miglior disco autoprodotto. Poi è il tempo di “Chi ha rubato le strade ai bambini?” del 2010 e dopo pochi mesi del progetto “La leva cantautorale degli anni Zero”, realizzato da Club Tenco e Mei, con la casa discografica Ala Bianca. Ex leader dei Joe Leaman, già batterista dei primi Julie’s Haircut e speaker per una nota radio indipendente modenese, Frigieri pare aver trovato un’appagante dimensione nelle vesti di cantautore, che per i testi impegnati ricorda un giovane Giorgio Gaber, piuttosto che Francesco Guccini. Difficile poterlo circoscrivere ad un genere musicale, anche se questo disco trasporta sicuramente in una dimensione folk rock, ma chi apprezza Frigieri sa, che quando credi di aver capito tutto del suo modo di sentire e fare musica, lui devia il percorso verso altri mondi musicali da contaminare. La verità è che questo album andrebbe comprato, come ogni disco, per poter leggere i suoi testi, per intuire immediatamente, osservando copertina e booklet, che parla di quella condizione sociale post-moderna, che già Bauman definì una «solitudine del cittadino globale».

Sbaglio o i sonnambuli siamo tutti noi, che assaliti nella quotidianità dall’essere in forma, efficienti e sulla cresta dell’onda ci allontaniamo da valori più autentici e intimi?
Siamo noi, è vero. Lo siamo quando non viviamo come vorremmo vivere per così tanto tempo da dimenticarci persino cosa volevamo dalla vita. Se vogliamo essere efficienti e in forma non è un problema. Basta volerlo davvero e non per induzione.

Quello che mi sono chiesta, nella mia ingenuità, è se essere sonnambuli- individui vaganti tra sogno e realtà- non ci possa in fondo salvare dalla cruda violenza della realtà.
Può essere una via di fuga. Il più è se questa via di fuga sia un’arma e quindi possa essere usata come tale occasionalmente, oppure se è soltanto un palliativo per rimandare le nostre decisioni più importanti e dunque allontanarci dai nostri obiettivi.

Come mai la scelta di autoprodurti ancora una volta?
Non sto con un’etichetta e non ho un’ agenzia che mi trova i concerti perché in questo modo vendo più dischi e faccio più concerti. So che sembra assurdo e non è detto che funzioni così per tutti, ma per me al momento funziona. Le ragioni le spiego sul mio sito www.miomarito.it in una sezione chiamata “Perché”. Il mondo è pieno di gruppi che sulla carta stampata sembrano fenomeni, ma che in realtà non hanno seguito di pubblico ed escono a cifre improponibili e infatti non suonano mai.

In fondo al libretto dei testi hai lasciato un messaggio molto bello, in ringraziamento a coloro che si spendono con energia ed entusiasmo a favore della musica live. In questi tempi dove è sempre più difficile vedere dei concerti nei club pare un messaggio di buon auspicio. In realtà vedo che tu suoni molto in tutta Italia. Quanto è impegnativo riuscire a conquistare questi spazi?
Trovarsi da suonare richiede impegno e costanza, ma ogni cosa fatta con serietà lo richiede. Chi affronta la questione con leggerezza, perché crede che tutto gli sia dovuto, resterà fermo al palo ed è giusto. Vedo che internet è pieno di band che fanno circolare messaggi come: “Caro gestore di locale”, che si lamentano sempre dando la colpa del loro insuccesso agli altri. Sono alibi da due soldi. Un gruppo dovrebbe chiedersi perché dall’inizio alla fine del proprio concerto gli spettatori calano della metà e dovrebbe capire che se ci sono 100 persone in sala e due ti fanno i complimenti, vuol dire che il 98% del pubblico si dimenticherà di te. Occorre essere severissimi con se stessi, altrimenti si offrirà sempre uno spettacolo scadente. E’ tempo di agire o di restare fuori dal gioco.

Sì, condivido, ma io credo che anche il gestore di un locale, se decide di fare dei live (che non è tenuto per forza a fare se non sa organizzarli e non ama la musica) debba prendersi la sua responsabilità. Avere il coraggio di fare proposte, di ‘istruire’ il suo pubblico all’ascolto. Forse si lamentano perché le cover e le tribute band sono le uniche ad essere chiamate e pagate da quei gestori….
Per il discorso “cover band pagate e originali no”, io credo che non sia facile fare musica in grandi spazi. Gli spazi un poco più grossi hanno bisogno di essere riempiti, altrimenti ,conti alla mano, tocca chiudere. Le cover band pagano, fanno si che un gestore possa anche rischiare di fare un paio di gruppi originali in più. Sono pochi quelli come me e mia moglie che quando non suonano vanno a vedersi un concerto, indipendentemente da chi ci sia, per pura curiosità. La maggior parte di noi magari va a vedere un concerto al mese, anche se non paga, ma soltanto perché nelle altre serate preferisce andare a cena o al cinema o non so dove. Un locale non può “fare fondo” su questo pubblico e un locale chiuso non fa bene a nessuno.
Quelli che vanno ai concerti solo per chiacchierare invece, bisogna riuscire a farli smettere! Non è facile. Non ho problemi a farmi 40 km per vedermi un concerto, e se a sentire un gruppo siamo soltanto in 4 davanti al palco, mi diverto comunque.

L’immagine di copertina ci trasmette una sensazione di degrado quasi apocalittico. Sul tuo sito annunci l’uscita di un nuovo album entro la fine del 2012. E’ davvero così vicina la fine del mondo?
Non sono superstizioso e la superstizione mi infastidisce proprio. L’immagine di copertina e quelle del libretto, a detta di mia moglie Cristina Malagoli, che le ha realizzate, vogliono dare l’idea di un’individuo perso senza più un’identità che vaga in un cumulo di macerie che potrebbero essere metaforicamente quelle degli individui, non più tali a causa della massificazione sempre più presente. Lo scenario post-industriale servirebbe a ricollocare il tutto ai giorni nostri. Ma si tratta comunque di immagini che lasciano spazio a molteplici interpretazioni ed è proprio per questo che Cristina ha fatto un ottimo lavoro, come al solito.



Mi ha colpito molto il testo di ‘Controfigura’ perché tocca un tasto comune a tutti noi: siamo sempre noi stessi o ci adattiamo invece a ciò che si aspettano gli altri da noi?

Il brano prova a interrogarsi proprio sulla distanza che c’è tra ciò che noi vediamo di noi stessi e ciò che gli altri vedono in noi, chiedendosi quale delle due immagini sia reale e addirittura se nessuna delle due lo sia davvero. Se avessi la risposta certa sarei un uomo immensamente potente.

Cesare Anceschi, Andrea Rovacchi e Fabio Debbi. Tre musicisti reggiani ed amici che hai portato con te in studio. Vuoi dirci qualcosa anche rispetto a queste collaborazioni?

Andrea è l’uomo dietro al mixer in tutti i miei lavori. Fonte inesauribile di idee, di confronti e ogni tanto di litigate e musi lunghi. E’ il disco che odio appena esco dallo studio e che amo dalla mattina dopo in poi. Cesare Anceschi è un buon batterista e un compagno di viaggio entusiasmante. E’ l’osservazione che non ti aspetti, il colpo di genio o la cagata micidiale, a volte entrambe nella stessa idea. Fabio Debbi è un chitarrista entusiasmante e una persona che possiede un’energia contagiosa e dalla quale è un piacere lasciarsi “infettare” al momento opportuno.

Cosa ci lascia Giancarlo Frigieri?
Vi lascio Gli ultimi due libri che mi hanno entusiasmato: “Pane e bugie” di Dario Bressanini e quello che sto leggendo ora che è “L’ingenuità della rete” di Evgeny Morozov, e un disco che credo sia il miglior disco italiano del 2011, ovvero “Piccoli Intrattenimenti Musicali” dei Vintage Violence.

Immagina di essere un sonnambulo che vaga per la provincia dove vivi. Dove ti fermeresti per risvegliarti?

Credo che il miglior posto dove svegliarsi sia sempre casa. Se invece la domanda presuppone una scelta diversa come credo, allora sceglierei qualche strada della bassa, all’ora del tramonto in una bella giornata di maggio.

(Gloria Annovi)

articolo a cura di Remark (http://www.remark-re.it).

foto di Cristina Malagoli

29 gennaio 2012

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