ALDO, “Kill e Biv vol.1 – Ricchione” (Autoproduzione, 2010)

Gli Aldo sono un duo minimalista di electro-rock demenziale napoletano. Quando pongo un trattino fra “electro” e “rock” non sottintendo però ad alcuna sintesi tra i due distinti elementi sonori: la duplicità non è qui ibridata, ma accuratamente dicotomizzata, vale a dire strutturata nell’opposizione di brani completamente rock (con chitarra elettrica e batteria reale o virtuale) e pezzi electro (con tastiere e computer). Non ha molto senso, ma non si paga e mi sembra che sia legale. Il gruppo sale sul palco con maschere galliformi, proponendo pezzi veloci ed energici, efficacemente tradotti in questo loro nuovo progetto autoprodotto a titolo “Kill e Biv vol. 1 – Ricchione”. Sul ricchione ci siamo tutti, è infatti questo un regionalismo dispregiativo entrato a far parte abbastanza agilmente nel parlato nazionale. Su “Kill e biv” ci sarebbe qualcosa in più da raccontare: il gioco di parole, che richiama la famosa pellicola nu-kung-fu di Tarantino, si riferisce a un’esclamazione (maledicente o di natura sacrilega) da rivolgere ai parenti ancora vivi del soggetto vittima dell’imprecazione. Con l’espressione completa “All’anima e chi t’è muort” si vuole invocare e, quindi, colpire e offendere l’anima dei defunti dell’avversario. Naturalmente l’imprecazione ha con il tempo disperso la sua carica blasfema e offensiva, trasformandosi in un colorito e impersonale elemento rafforzativo del discorso. Alle sue varianti su tema (“Mannaccia a chi t’è muort”, “mannaccia ’è muort e chi t’è muort”, “All’anima ’e chi t’è stramuort” con gli ulteriori crescendo di maledizione del sangue o del liquido semifinale dei morti e degli stramorti) si affianca la bestemmia rivolta ai vivi. Se ci riferiamo a un interlocutore diretto diremo allora “Chi t’è biv” (a/di chi ti è vivo), se ci riferiamo a un terzo useremo, ovviamente, il lemma da usare sarà “Chi l’è biv” (a/di chi gli è vivo).

Ma veniamo agli Aldo e al loro Ep autoprodotto. Si tratta di 20 minuti di rock tamarro intervallato da più brillanti intermezzi elettronici. La chitarra è molto low-fi e sporca, ma efficace nei riff pseudo-punkrock, pseudo-grunge e pseudo-stoner: tutti, a loro modo, intelligentemente cretini. I testi, invece, sono assolutamente cretini. E ci vuole un certo coraggio. L’ironia proposta dagli Aldo, infatti, è così puerile, sciatta e insignificante da risultare libera dai limiti intellettuali dell’esercizio di demenzialità e quindi più stravagante e originale del solito (italiano). La band non scimmiotta i vari Skiantos, Bugo o Squallor (massimo rispetto per gli Squallor), ma gioca a creare canzoni sensatamente insensate (se l’espressione può avere qualche senso). Non ci sono battute esilaranti o preziosi giochi linguistici e concettuali da scoprire e di cui compiacersi: sono pure stronzate e null’altro vogliono essere. Il suono è un tributo al rock più triviale e grintoso degli anni ’90 e cita un po’ a casaccio NOFX, Offspring, Kyuss, Verdena e Guns ’n Roses (ogni finale di brano ricalca gli inutili e dilatati “oh yeah” di Axl Roses). Si va dal fuzz-rock di “I Miei Pensieri Attraversano i Nani”, in cui si fa mostra di discreto gusto melodico e di una buona dinamicità compositiva, fino all’esperimento elettronico “Space Gallo”, molto Vampire Rodents. Il significato estetico dei brani è come un fuso che ruota su se stesso formando intorno un vortice di assenza o di non-senso e un risucchio autoreferenziale. Ed è appunto questo l’aspetto innovativo o più fresco che si evince dalle composizioni e dall’attitudine del duo: divertente e inutile autoreferenzialità usa e getta.

55/100

(Giuseppe Franza)

22 maggio 2011

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