AA.VV., “Sofrito: Tropical Discotheque” (Strut, 2011)

Prima di ascoltare la nuova compilation della Strut intitolata “Sofrito – Tropical Discotheque” mi è capitato di parlarne via etere con il mio amico Paolo “Mondo”, che sei mesi l’anno vive in Colombia e in materia di vecchi vinili, cumbia e party tropicali è l’ipse dixit da rispettare (ma anche l’unico che posso e voglio consultare, vista la scarsità umana d’individui interessati al fenomeno e la scarsità del mio interesse rispetto agli individui interessati al settore, ma anche agli “interessati” in generale). Insomma, gli dicevo che, nonostante tutto, è per me molto complicato superare atavici pregiudizi estetici rispetto a compilation redatte da dj che scelgono inquietanti riferimenti a concetti come “Discotheque”. I generi latini sono indissolubilmente legati alla danza e questo può diventare un grave limite, come dire che è molto facile passare dalla simpatica e spontanea qualità espressiva delle orchestre da ballo allo squallore di produzioni da club salsa o palestre europee di balli latino-americani. Succede che la musica passa in secondo piano rispetto alla goffa ritualità sociale (o sensuale) del contesto, o addirittura si faccia mezzo perfetto per rassodamento di glutei e cosce di quarantenni tristi e sformate.

Lui mi ha confermato che naturalmente la ragione della selezione è fortemente legata alla ritmicità, ma che i gruppi coinvolti sono abbastanza interessanti. Mi ha chiesto di fargli sapere cosa ne penso, che poi magari può passarmi roba meno inflazionata… La Sofrito è una piccola label inglese di musica da dancefloor tropicale, fondata dai dj Hugo Mendez e Frankie Francis, che pubblica rarità (vecchie e nuove) di cumbia e tradizionale colombiana, calypso, latin-jazz, latin-dance e afro-beat, con molta cura per la veste grafica, e che organizza eventi, grandi party londinesi dedicati alla scoperta dei ritmi latini più accattivanti e danzerecci. L’estetica della Sofrito insiste soprattutto su suoni duri, al limite del funk o dell’electro, che riescono a evocare, allo stesso momento, vibrazioni moderne e vintage, popolari ed esotiche. Questa compilation, infatti, raggruppa nomi nuovi (Frente Cumbiero, Banda Los Hijos de la Nina Luz), vecchie glorie (Mighty Shadow, Fair Nick Star, Roaring Lion e sir Victor Uwaifo) e personaggi oscuri (Dany Play, Ti Céleste) e ce n’è per tutti i gusti: cumbia, afro-beat, soca, calypso, caraibica, jazz, profondi tromboni, dolci steel pan, maracas impazzite, congas e chitarre elettriche super-funky…

Il risultato generale è piacevole e di buona qualità. I generi riescono ad amalgamarsi perfettamente tra di loro, “soffriggendo” in olio tropicale e almeno cinque pezzi su quindici valgono l’ascolto dell’intero disco. Su tutti spiccano il beat dritto e insieme sinuoso della francofona “Arrete Mal Parlé” dei Fair Nick Star (Guadalupe, Caraibi francesi), il vivace afro-beat (remixato da Frankie Francis & Simbad) di Victor Uwaifo (virtuoso chitarrista high-life nigeriano, autore di diverse hit come l’allucinata “Guitar Boy and Mamiwater”), il calypso-lounge “Carnival Long Ago” di Roaring Lion, la rumba africana, d’ascendenza soukos, dei Les Ya Toupas Du Zaire (“Je Ne Bois Pas Beaucoup”) e l’episodio dance-spaziale in high-life del ghanese Sofohene Djeni (“Mahu Wo Asie”). Meno riusciti od originali gli interventi percussivi di Ti Cèleste (“Papilation Basse”) e della salsa in pich ribassato di El Timba e la lirica e ingenua calypso-salsa di “Yiri Yiri Boum” di Gnonnas Pedro (cantante degli Africando). Sufficiente il risultato della rappresentanza cumbia, incarnata dalla Banda Los Hijos de la Nina Luz (con i fiati danzabili di “Queiro Amanacer”, da Barranquilla, Colombia) e dall’improvvisazione latina di Quantic y su Conjunto Los Miticos del Ritmo (“Cumbia de Mochilla”).

Caro Paolo “Mondo”, veniamo dunque a cosa penso di questa compilation: è fatta per ballare, ma fortunatamente non ci riesce completamente e ci sono molti momenti interessabili, come dire più che ascoltabili; geo-culturalmente l’Africa batte l’America Latina, ma le cose più belle escono fuori proprio lì dove non si capisce bene se siamo in Benin, in Colombia, a Trinidad o in Congo. Alla fine viene tutto da lì, dalla grande Africa e come diceva il grande panafricanista Francesco Salvi: “Noi siamo tutti diversi, siamo una grande tribù”.

68\100

(Giuseppe Franza)

11 marzo 2011

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